Piccolo viaggio nel “vero buio” alla ricerca di corpi celesti.
È la notte del 1° Gennaio del 1801, e una persona festeggia il nuovo anno a modo suo.
Si chiama Giuseppe Piazzi, ed è un astronomo e matematico. Dirige il Regio Osservatorio di Palermo, che si trova nel Palazzo dei Normanni, nel pieno centro della città.
Da quel punto la vista del cielo è splendida: quella notte, Piazzi decide di puntare il suo telescopio, all’avanguardia per l’epoca, verso la costellazione del Toro. Lì, trova una stella non riportata sul catalogo del tempo, quello di Lacaille (o La Caille, come riporterà nel suo diario). Altre osservazioni, effettuate in giorni successivi, confermeranno la scoperta di un nuovo corpo celeste: Piazzi lo chiamerà “Ceres Ferdinandea”, dedicandolo a Ferdinando III di Sicilia. Per tanti anni verrà creduto un pianeta, fino alla scoperta di altri “pianetini”; allora sarà “declassato” ad asteroide.
Milano, fine ‘800.
Più di tre quarti di secolo dopo, a Milano, un astronomo piemontese osserva Marte. Siamo nel 1877, e il suo punto di osservazione è l’Osservatorio Astronomico di Brera, nel centro della città, a poca distanza dal Castello Sforzesco. La città comincia a essere illuminata (a gas), ma Giovanni Virginio Schiaparelli, direttore dell’osservatorio e astronomo, non ne sembra granché disturbato. Approfittando delle “opposizioni” di Marte, cioè i periodi (uno ogni 26 mesi circa) nei quali il pianeta rosso è più vicino alla Terra, Schiaparelli riesce a disegnare una mappa di Marte. Siamo nell’anno 1888.
È giusto il caso di segnalare che l’opera di Schiaparelli, nella versione in Inglese, conteneva un celebre errore di traduzione: l’italiano “canali” venne tradotto “canals”, cioè canale artificiale, al posto del più corretto “channels”, vale a dire canali naturali o istmi. Si potrebbe affermare con ragionevole certezza che i “marziani” siano stati involontariamente “creati” da questo errore.
Milano, 1923.
Non è nemmeno passato mezzo secolo dalle prime osservazioni marziane di Schiaparelli, e la situazione è già diventata insostenibile: l’illuminazione elettrica milanese ha raggiunto livelli incompatibili con le osservazioni del cielo. L’osservatorio è pertanto costretto a trasferirsi fuori città, per la precisione a Merate, in Brianza.
20 febbraio 1962.
Siamo nel pieno della corsa allo spazio tra Stati Uniti e Unione Sovietica: dopo i viaggi di Yuri Gagarin (12 aprile ‘61) e German Titov (6 agosto), e i voli suborbitali di Alan Shepard (5 maggio ‘61) e Gus Grissom (21 luglio), gli Stati Uniti, dopo aver mandato lo scimpanzé Enos nello spazio (il 29 novembre 1961), spediscono John Glenn in orbita.
Uno dei tanti quesiti che gli scienziati si erano posti riguardava la visibilità dei fenomeni atmosferici, nonché delle città, dallo spazio. Glenn rispose che, dal suo punto d’osservazione, vedere le tempeste di fulmini non era un problema.
In merito alla visibilità delle città, il consiglio di una città australiana, Perth, avendo saputo che la traiettoria del volo l’avrebbe sorvolata, decise di fare accendere ogni luce possibile per essere notata dall’astronauta. Glenn nelle sue osservazioni commenterà: “(volando) sopra l’Australia avevano acceso le luci di Perth e potevo vederle bene. Era come volare ad alta quota di notte sopra una piccola città. L’area di Perth era diffusa e molto visibile e poi c’era un’area più piccola, a sud di Perth, che aveva un gruppo di luci più piccolo, ma molto più luminoso”.
La città di Perth, sessant’anni dopo, si fa ancora chiamare “City of Light”.
La situazione oggi. Buio pesto, anzi no.
Il buio profondo è un ricordo lontano, per molti. L’inquinamento luminoso è arrivato a livelli insostenibili. Specie nel nostro continente, come è possibile vedere dall’immagine sottostante.
Gli italiani che riescono a vedere la Via Lattea a occhio nudo in una notte serena e senza Luna sono veramente pochi, e vivono per lo più in aree rurali o comunque a minore densità abitativa. Chi è riuscito ad associare l’illuminazione pubblica alla maggiore sicurezza o al progresso ha compiuto un capolavoro di marketing paragonabile a quello degli astronomi del passato, che sono riusciti a convincere i potenti del tempo che nel cielo era scritto tutto quanto, loro futuro compreso.
Le contraddizioni della realtà attuale sono peraltro stridenti: da un lato l’UNESCO (nel 2007) ha dichiarato che il cielo notturno (e in particolare il cielo buio notturno) non può essere inserito nella Lista del Patrimonio Mondiale, e quindi non può ricadere nella protezione offerta nell’ambito della Convenzione per la Protezione del Patrimonio Mondiale Culturale e Naturale del 1972. Per la stessa UNESCO, ad ogni modo, il cielo notturno rappresenta comunque “parte integrante dell’ambiente complessivo percepito dall’umanità”.
Sarebbe interessante chiedere all’UNESCO cosa pensa delle decisioni della FCC, la Commissione federale americana per le comunicazioni, di autorizzare la creazione di una serie di costellazioni satellitari formate da migliaia o decine di migliaia di satelliti, e soprattutto in forza di quale quadro legislativo-autorizzativo un ente americano può decidere su fattori impattanti sulla qualità del cielo di tutti gli abitanti del pianeta.
Per cercare di monitorare almeno un po’ il problema, aiutando magari a mitigarlo, la NASA ha lanciato un progetto di “citizen science” chiamato Satellite Streak Watcher. Chiunque può partecipare: è necessario solo uno smartphone con fotocamera, un treppiede e l’installazione di un paio di app. Tramite il cellulare, fissato su un treppiede (o altro supporto) e con la fotocamera impostata con un tempo di esposizione di 10 secondi, si fotografa il passaggio dei satelliti e si tiene così d’occhio la situazione. Per avere la lista dei passaggi di alcune costellazioni di satelliti, si va sull’app “Heavens-Above” e si seleziona la costellazione di satelliti desiderata; si sceglie poi il passaggio migliore (quello con la magnitudine minore) e si fa la foto all’ora del passaggio. Il procedimento andrebbe poi idealmente ripetuto nel tempo.
Le notti stellate sono patrimonio di tutti, cerchiamo di fare la nostra parte.
Marco Cannavacciuolo
Laurea in Economia, master in giornalismo e comunicazione, informatico di professione. Una inesauribile curiosità per tutto quel che lo circonda e tanta passione per la divulgazione.
Su Bar Scienza si occupa principalmente di spazio, sia essa storia dell’esplorazione spaziale o tecnologie derivate da essa.
Collabora con riviste del settore aerospaziale, come “Spazio Magazine” e gestisce una sua rubrica settimanale ogni sabato alle 10:30 su una web radio locale, www.linearadiosavona.com.
Il suo primo libro è “Dallo spazio alla radio” (per saperne di più :https://linktr.ee/dallospazio) i cui proventi andranno all’Istituto Ospedaliero “Giannina Gaslini” di Genova.
Fonti aggiuntive e bibliografia:
- INAF – Osservatorio astronomico di Palermo: https://www.astropa.inaf.it.
- Piazzi, G. – “Della nuova scoperta del pianeta Cerere Ferdinandea. Osservatorio astronomico di Palermo. Gennaio 1801”.
- INAF – Osservatorio astronomico di Brera: http://www.brera.inaf.it.
- NASA Manned Space Center – “Results of the first United States orbital space flight – February 20, 1962”, liberamente disponibile online a questo link.
- Perth City Council: https://perth.wa.gov.au/council/about-council/city-of-light.
- MacKinnon, J. B. – “The Day the World Stops Shopping” – Penguin Random House UK.
- UNESCO: https://whc.unesco.org/en/astronomy/#statement
- Caraveo, P. – “Saving the Starry Night – Light Pollution and Its Effects on Science, Culture and Nature” – Springer Nature Verlag 2021, anche nella sua edizione italiana (ridotta): “Il Cielo è di tutti”, collana Le grandi Voci – ed. Dedalo.
- Satellite Streak Watcher: https://scistarter.org/satellite-streak-watcher. Per chi desiderasse iniziare subito, il sito di riferimento è il seguente: https://www.anecdata.org/projects/view/687.