Aiuto, piovono invenzioni dallo spazio!
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In questo periodo di missioni ed esplorazioni robotiche su Marte, sta tornando alla ribalta l’interesse per questo tipo di attività. Oltre alla curiosità, purtroppo anche commenti contrari si stanno nuovamente diffondendo. Domande del tipo “perchè cercare l’acqua su Marte, quando sulla Terra c’è chi muore di sete?” cominciano di nuovo a diffondersi in rete, oltre ai soliti complottismi e teorie strampalate.

Rispondere a questo tipo di domande è una cosa che mi ha sempre appassionato ed è uno dei motivi principali per cui ho iniziato a scrivere per Bar Scienza (ad esempio in quest’altro mio articolo a questo link).

Ora, la mia formazione ingegneristica non mi consente di conoscere quello che c’è nello spazio profondo, ma sicuramente tutto quello che c’è in un modulo lunare, nello space shuttle o nella ISS è “roba da ingegneri”!

In questo articolo vorrei di nuovo descrivere alcune invenzioni che, ideate per il comfort o la sicurezza degli astronauti, oppure in qualche modo legate a questo ambito, hanno avuto importanti ricadute per noi gente comune, sia nella vita di tutti i giorni che in campo medico.

Li abbiamo sicuramente visti in una delle tante televendite, oppure letteralmente ci dormiamo sopra: mi riferisco ai materassi a memoria di forma. Questo fantastico materiale è stato infatti sviluppato dalla NASA negli anni ‘60 per assorbire urti e accelerazioni che gli astronauti subivano durante i lanci.

Ma facciamo un passo indietro: era il 1962 e l’ingegnere aeronautico Charles Yost, contribuendo a costruire il sistema di recupero per il modulo di comando delle missioni Apollo, ed essendo stato incaricato del miglioramento dei posti a sedere “creò” un nuovo materiale polimerico a celle aperte con proprietà viscoelastiche insolite, essendo una schiuma a ritorno elastico lento. 

Si tratta di un poliuretano i cui elementi addizionati lo rendono più denso e viscoso. 

[Esempio di memory foam (da Wikimedia).]

Chiaro no? 

Provo a dare una spiegazione più semplice (non me ne vogliano i chimici!) Il poliuretano è un polimero utilizzato principalmente in applicazioni di isolamento; immaginiamolo come una schiuma, però un po’ più rigida e con la capacità di trattenere l’aria presente nelle “bolle” facendole muovere per adattarsi alla forma del carico applicato.

Questo materiale ha quindi la capacità di adattarsi alla forma dell’oggetto che vi si sovrappone e ritornare alla sua forma originale dopo la sua rimozione. 

Quindi, in una delle prime applicazioni “spaziali”, il poliuretano a memoria di forma fu usato per i sedili che ospitavano gli astronauti e per applicazioni “non spaziali” per i già citati materassi, per cosmesi protesiche, cioè una sorta di interfaccia tra protesi e paziente.

Sulla falsariga di questa storia, un altro utile esempio sono gli impianti cocleari per persone non udenti. 

Siamo negli anni 70, periodo in cui Adam Kissiah, ingegnere di strumentazione elettronica presso il Kennedy Space Center della NASA, spinto dal suo problema all’udito, brevettò un dispositivo che ha dato la possibilità a milioni di utenti di poter sentire di nuovo. 

Si tratta dell’impianto cocleare: un dispositivo che seleziona gli impulsi del segnale vocale trasmessi da un microfono e da un elaboratore vocale, quindi riproduce un modello di impulsi elettrici nell’orecchio. Sebbene non sia possibile riprodurre suoni completamente naturali a causa del limitato numero di elettrodi in uso, questo dispositivo consente ottimi risultati in chi soffre di danni all’udito.

Nel 1977 la NASA aiutò Kissiah ad ottenere un brevetto per l’impianto cocleare che sarebbe poi stato prodotto dalla BIOSTIM, Inc.. Egli non aveva nessuna preparazione medica, ma negli anni di attività al Kennedy Space Center, ha trascorso gran parte del suo tempo libero presso la biblioteca tecnica del centro studiando l’impatto dei principi di ingegneria all’orecchio umano.

[Esempio di impianto cocleare, da Flickr.]

In quegli anni sono stati fatti diversi studi nel campo delle protesi per uso auricolare, ma una delle soluzioni migliori risultò quella di Kissiah. Ora, probabilmente un impianto cocleare non è mai stato nello spazio, ma immaginate cosa sarebbe successo se il buon Adam non avesse avuto la possibilità di accedere alle fonti presenti in quella biblioteca perché impegnato in altre attività più…”terra terra”! Questo è un ottimo esempio di quello che diceva Ernest Stuhlinger, direttore scientifico della NASA, nel 1970: “tramite obiettivi più grandi e ambiziosi che portano a una maggiore motivazione per l’innovazione, che spingono l’immaginazione oltre e fanno sì che gli uomini diano il loro meglio”.

Arrivati a questo punto, potrei parlare per ore di coperte termiche, cibo liofilizzato, dispositivi a batteria e tanto altro, dato che ogni volta che voglio conoscere come sono state inventate alcune cose mi imbatto in un progetto/spinoff della NASA o in un semplice trasferimento tecnologico e passo ore a leggere articoli ecc…, ma dalla regia mi dicono che il mio tempo sta per finire e chiudo con un ultimo, interessante, esempio.

In tempi difficili come quelli che stiamo vivendo può essere molto utile la “medicina a distanza”, è quello che fa il progetto Ejenta, che permette di tenere sotto controllo un paziente a distanza allo stesso modo degli astronauti. Infatti, durante le missioni e le “passeggiate spaziali” le loro tute contengono tanti sensori che monitorano i parametri vitali, come temperatura corporea o frequenza cardiaca. Questi dati analizzati dal medico di supporto a terra e dagli ingegneri biomedici forniscono informazioni o promemoria agli astronauti su come continuare le attività. In questo modo, si suggerisce agli astronauti di riposarsi o bere, ecc. Applicando questo tecnologia ai terrestri, ovviamente senza una tuta spaziale, si possono tenere sotto controllo i parametri vitali di pazienti particolari, come ad esempio anziani a cui Ejenta, per mezzo di appositi dispositivi connessi Wi-Fi o Bluetooth, può ricordare di assumere i farmaci nei tempi giusti, oppure aiutare nella corretta esecuzione della fisioterapia chi si sta riprendendo da interventi chirurgici.

Bene, ora non dite che i soldi per le missioni spaziali sono soldi sprecati!

P.S.: Per gli appassionati di spazio e astronomia, mi scuso se ho parlato in questo articolo di invenzioni e tecnologia: sono solo un ingegnere, ma spero di avervi trasmesso la mia passione per questo settore e tutto quello che lo circonda! 

Gianluigi De Simone 

Ingegnere meccanico ma un pò gestionale, laureato al politecnico di Bari, attualmente vive e lavora a Torino. 

Appassionato di scienza e tecnologia, lover of Ireland, divoratore di libri e serie TV. 

“Ho smesso di discutere con la gente ‘informata’, quindi scrivo!”.


Fonti ed approfondimenti: