Argento antibatterico 
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Quando ci si fora un lobo o altre appendici per ragioni estetiche, di solito ci si infila un orecchino d’argento. Non di nichel, non di rame, non di praseodimio, non d’acciaio. 

Come mai proprio d’argento?

L’argento ha una combinazione di proprietà abbastanza rara in Natura: è un materiale tossico per i batteri (e anche i virus), ma non per le cellule umane. Quando ci si infila l’orecchino d’argento nel lobo, oltre a non far richiudere il buco, si evita anche che la ferita si infetti.  

Questa proprietà è nota fin dall’alba della civiltà ed è la ragione per cui svariati prodotti che si definiscono “antibatterici” contengono argento. Spazzolini da denti, pitture, vestiti, anche taglieri. Il fatto che ci sia scritto “antibatterici” e non antibatterici (senza virgolette), però, vi potrà suggerire che in questi casi l’efficacia dell’argento non sia così scontata. Come mai? 

Intanto partiamo da una constatazione: il metallo argento non ha alcuna proprietà antibatterica. Quelle che uccidono i batteri sono due altre forme di argento: lo ione argento e le nanoparticelle di argento. Lo ione argento è un atomo d’argento che, a causa di una reazione chimica, ha perso un elettrone e quindi resta carico positivamente (Ag+). Gli atomi che compongono l’argento metallico, invece, hanno tutti i loro elettroni ed hanno quindi carica 0 (Ag0). Le nanoparticelle di argento sono fatte di argento metallico, ma sono talmente piccole (< 100 nm, ossia meno di un millesimo dello spessore di un capello) che le loro proprietà chimiche e fisiche cambiano drasticamente (nel caso siate interessati a scoprire il fantastico mondo delle nanoparticelle, Sara ce lo aveva presentato in questo articolo). 

Lo ione argento non solo è antibatterico, ma è, tecnicamente, dannatamente tossico: fra i metalli pesanti è peggio del cadmio e del cromo esavalente e viene battuto solo dal mercurio. Questa sua tossicità è dovuta all’abilità di andare a legarsi a svariati gruppi funzionali (specialmente ricchi in zolfo) presenti in proteine e DNA, impedendone il corretto funzionamento. Tuttavia (o per fortuna), lo ione argento è piuttosto difficile da ottenere libero: innanzitutto, l’argento metallico è un metallo nobile, quindi non particolarmente incline a reagire, e poi molti dei composti contenenti ione argento (come il cloruro d’argento) non sono solubili in acqua. Ed è proprio il rapporto dello ione argento con l’acqua ad essere sia croce che delizia per le sue proprietà antibatteriche. Da un lato, infatti, una bassa solubilità consente di dosare più facilmente la sua concentrazione cosicché sia tossico solo per i batteri e non per l’uomo. Oltretutto, il fatto che solo poco argento venga disciolto, fa sì che la sua concentrazione nel materiale che deve proteggere resti alta a lungo, garantendo una lunga durata dell’attività antibatterica. D’altro canto, però, una bassa solubilità vuole anche dire che c’è bisogno di tanta acqua per “attivare” l’argento, portandolo fuori dal materiale e a contatto con i microorganismi che deve uccidere. In generale, quindi, una superficie umida (piercing, spazzolini da denti, vestiti) viene protetta da tecnologie basate sullo ione argento, ma una secca no. 

Le proprietà antibatteriche delle nanoparticelle di argento, invece, sono state studiate solo recentemente, quindi non c’è ancora completo accordo sul loro modo d’azione. Sicuramente, esse rilasciano ioni argento, specialmente quando superano la membrana cellulare (sia dei batteri che di altre cellule) e restano all’interno del citoplasma. Sembra, tuttavia, che esse attacchino i batteri anche in altri modi. Per esempio, ci sono forti indizi che le nanoparticelle, a seconda della dimensione, possano forare fisicamente le membrane cellulari e, una volta all’interno, catalizzare la produzione di composti fortemente ossidanti (radicali e/o specie reattive dell’ossigeno). Sono stati anche osservati casi in cui le nanoparticelle non devono né lasciare il materiale per essere attive, né rilasciare ioni argento, ma, stando sulla superficie, uccidono i batteri con cui vengono in contatto. Questo ultimo punto è particolarmente interessante, perché apre le porte a una tecnologia in grado di proteggere attivamente le superfici senza rilasciare nell’ambiente composti tossici. Tuttavia, l’uso commerciale che si fa attualmente delle nanoparticelle d’argento è ancora basato sulla loro fuoriuscita dal materiale e successivo contatto con i batteri. Come nel caso dello ione argento, questo vuol dire che c’è bisogno di un liquido (acqua) che estragga le nanoparticelle e quindi la loro efficacia è fortemente ridotta in presenza di superfici secche. Bisogna poi sempre tenere presente che la tossicità delle nanoparticelle (in generale, non solo quelle d’argento) nei confronti di cellule animali e vegetali e il loro accumulo negli organi di creature complesse sono ancora argomenti piuttosto dibattuti, consigliando cautela nel loro utilizzo massiccio in situazioni in cui possano essere disperse nell’ambiente.


Andrea Castelli

Nonostante un dottorato in Nanochimica, sono, bene o male, un essere umano. Nell’ultimo decennio (abbondante) ho giocato con LED, nanoparticelle, perovskiti, materiali antibatterici, disinfettanti e, da qualche giorno, saldature di componenti elettronici. Credo fortemente che la pigrizia sia alla base del progresso umano, quindi, nel tempo libero, dedico tutto me stesso a questa nobile causa.

Bibliografia

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