Qualcuno ritiene ingenuamente che trucco, make-up, skin care e altre amenità simili siano qualcosa di superfluo, inutile se vogliamo.
Beh, questo qualcuno potrebbe anche non avere tutti i torti, non ci sentiamo di escluderlo, resta il fatto che il così detto “comportamento cosmetico” è presente in praticamente tutte le culture umane e, prima di noi, seppure con alcune peculiarità, anche in molti animali, microrganismi compresi.
Eh sì, anche gli animali si prendono cura del proprio aspetto!
Che ne dite? Facciamo due passi in più nella psicologia dell’estetica personale?
Come sottolineano anche i volumi di mercato – più di 11 miliardi di euro di prodotti acquistati ogni anno in Italia e un giro di consumi in crescita nel tempo – questo genere di comportamento riveste un ruolo decisamente importante nella nostra cultura.
Ma prendiamocela con un po’ di calma, diamo prima uno sguardo alla natura, l’origine di questi comportamenti potrebbe essere più lontana di quanto immaginiamo.
Giusto per citare alcuni esempi, i parameci, piccoli organismi unicellulari che possiamo vedere nella prima immagine, compiono dei movimenti ciliari il cui scopo di solito è semplicemente quello di muoversi alla ricerca di cibo, ma in alcuni casi è anche volto a rimuovere depositi sulla loro superficie, il che ci ricorda vagamente la pulizia del corpo.
L’ibis crestato giapponese (immagine 2) invece, tinge il proprio piumaggio attraverso delle secrezioni per rendersi riconoscibile, come se si truccasse.
Se pensiamo alla comunicazione attraverso gli odori poi, gli esempi si sprecano, è un fenomeno comunissimo fra i mammiferi…
Gli animali qui citati modificano il proprio aspetto attraverso l’utilizzo di secrezioni proprie o anche semplicemente attraverso dei gesti di pulizia, ma esistono anche casi comportamentali più simili a quello umano. Il gipeto, ne vediamo in foto un simpatico esemplare, in modo più simile alle persone, reperisce degli oggetti che poi utilizza per modificare la propria apparenza. In particolare fa il bagno nelle sorgenti d’acqua più ricche di ferro, ottenendo così un colorito rossastro sul piumaggio. Gli scienziati si sono chiesti a lungo il motivo per cui lo facesse, ipotizzando che quel comportamento costituisse un gesto di protezione da qualche malattia. Dopo ripetuti tentativi, appare come in fin dei conti il vantaggio sembri essere eminentemente di carattere sociale e comunicativo: serve a farsi riconoscere!
Per quanto riguarda la comparsa e i diversi usi che sono stati fatti del comportamento cosmetico nella storia umana, vi basti sapere che tracce tangibili di atti a puro fine estetico sono state trovate in ogni parte del pianeta e non sono ad appannaggio di alcune specifiche culture. In questo contesto, non è possibile soffermarci sulla storia del comportamento cosmetico nelle singole civiltà, anche perché probabilmente ne si potrebbe parlare all’infinito…
Forse avrete fatto caso al fatto che fino ad ora ho distinto il termine “make-up” dalla “skin care”.
Queste due accezioni del comportamento estetico non sono per nulla sovrapponibili: nella storia occidentale essi sono concepiti come due gruppi di comportamenti completamente distinti e differenti fin dai tempi della cultura ellenica classica, ma anche dalla civiltà romana, la quale fu infinitamente influenzata dalla prima.
Da una parte, la skin care, ovvero la cura della pelle, veniva classicamente identificata con la pulizia personale e associata alla purezza, all’igiene e alla prevenzione contro le malattie. Invece il makeup è legato al concetto di abbellimento, all’impiego di qualunque tecnica e materiale a scopo ornamentale.
A queste due differenti attività, ognuna con funzioni e scopi differenti, si lega un approccio psicologico diverso: perseguiamo quei comportamenti con un’idea di base differente, ora ci arriveremo meglio!
Anche limitandosi alla skin care possiamo ritrovare approcci differenti; le ricerche evidenziano infatti che le persone tendono a dare ruoli diversi a questa attività in relazione al momento della giornata in cui viene svolta: le persone che si prendono cura della propria pelle al mattino affermano di cercare freschezza, pulizia, velocità; al contrario la sera vengono ricercate lentezza, tepore, relax.
Una nota interessante può essere fatta su una pratica annoverata come parte della skin care: il massaggio. I massaggi, da quanto evidenziano le ricerche, hanno un effetto soppressivo sul cortisolo e sulla funzionalità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, un gruppo di ghiandole tipicamente associato alla sensazione di stress. Sembra dunque che i massaggi inducano un effettivo, seppur temporaneo, abbassamento dello stress, con tutti i riflessi che questo ha sul nostro corpo, come ad esempio il rilassamento muscolare. Il massaggio sembra dunque determinare un importante stato di sicurezza.
Se ve lo state chiedendo, anche moltissimi animali operano una forma di skin care che potremmo associare al massaggio e che prende il nome di “grooming”. Si tratta dell’attività in cui i gatti lisciano il proprio pelo o lisciano quello di altri esemplari, con importante impatto sociale.
Il ruolo della skin care non sembra essere univoco, né per le sensazioni ricercate dai soggetti, che sono molto variabili, né per gli scopi esterni; si può infatti distinguere ad esempio l’utilizzo della skin care come preparazione al trucco vero e proprio, come base, piuttosto che come sola igiene.
Come funziona invece il make-up?
Il make-up solitamente è inteso come l’utilizzo di materiali di varia natura posti sulla pelle e atti a generare illusioni ottiche nello spettatore.
Le illusioni di Ebbinghaus (IMG) sono a tal proposito dei validi esempi provenienti dagli studi di psicologia sulla percezione visiva. In esse, il fatto di circondare un elemento circolare da altri elementi più piccoli, dà l’illusione di maggiori dimensioni per il nucleo.
All’opposto, il centro appare più piccolo se circondato da elementi più estesi.
L’eyeliner ad esempio sembra funzionare esattamente con questo principio:
degli studi evidenziano che l’applicazione di questo tipo di artificio aumenta la dimensione percepita del 15%.
Attraverso tecniche simili il make-up può essere utilizzato per agire sulla forma del viso o dei suoi componenti, a seconda dell’immagine ricercata: visi più arrotondati per dare l’impressione di infantilità, ad esempio.
Partendo dal funzionamento di base che abbiamo appena accennato, è chiaro che il ruolo funzionale del make up sia quello di modificare la presentazione che viene fatta di sé in un quadro sociale e qui la questione si complica parecchio, in quanto possiamo iniziare a chiederci: “se il trucco serve ad alterare la mia immagine, che ideale di bellezza cerco di raggiungere?”.
Per affrontare per bene un tema come questo sarebbe opportuno considerare le questioni simboliche e culturali profonde: l’immagine che si ha e che si dà di sé è un discorso molto ampio, che necessariamente deve includere altre considerazioni come il riconoscimento in gruppi, l’identità personale, la ricerca di un sé ideale, il controllo dell’autostima e del vissuto emotivo… Ne potremmo parlare in un altro momento!
In quel caso penso potremmo anche discutere il motivo per cui il trucco sembra renderci più intelligenti! Ho stuzzicato la vostra curiosità? Bene! Allora… Alla prossima!
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Pier Giorgio Volpato
Laureato in Psicologia Clinica e attualmente in tirocinio post lauream per diventare psicologo. Nerd h24 e appassionato di ogni genere di gioco, ha abbandonato a malincuore l’idea di diventare un allenatore di Pokémon, ora si dedica all’addestramento di persone. Tiene molto all’educazione e alla prevenzione, cosa che lo ha portato recentemente ad aprire un canale divulgativo su Youtube.
Fonti:
- Cosmetica Italia, Indagine Congiunturale 2019. http://areastampa.cosmeticaitalia.it/wp-content/uploads/2019/09/Indagine-congiunturale_Settembre-2019-REV.pdf;
- Abe, T. (2017). Psychology of Cosmetic Behavior. 10.1016/B978-0-12-802005-0.00006-9;
- Margalida A, Braun MS, Negro JJ, Schulze-Hagen K, Wink M. 2019. Cosmetic colouring by Bearded Vultures Gypaetus barbatus: still no evidence for an antibacterial function. PeerJ 7:e6783 https://doi.org/10.7717/peerj.6783.
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