Vi è mai capitato di pensare “Wow, chissà 30 anni fa, senza Google Maps, come faceva la gente ad andare in giro?!”. A me è capitato spesso, soprattutto da turista. Una frase dettata dalla comodità odierna, comodità di cui spesso non siamo consapevoli di quanto influenzi le nostre convinzioni, e persino i nostri preconcetti. Perché in realtà, “in giro”, la gente ci va da millenni! Ma come diavolo facevano?
A scuola ci hanno insegnato che gli antichi si orientavano guardando il cielo, studiando la posizione del sole e delle stelle. E bastava, visto che il nostro spirito critico era ancora non abbastanza maturo. Nessuno, per esempio, si chiedeva: ma se c’è maltempo e il cielo è coperto? Questa è stata una delle tantissime sfide che hanno portato alcuni popoli a dominare i mari, e altri a soccombere. Tante soluzioni sono state adottate, e la sfida è stata vinta abbastanza presto e più volte da fenici, vichinghi, polinesiani e tanti popoli del mare.
Ma c’è un problema ancora più sottile, per noi con uno smartphone in tasca, ma gigantesco per i nostri avi. Il cielo fornisce numerose indicazioni sulla propria latitudine. Essa può essere calcolata facilmente dall’altezza del sole, la posizione delle stelle e persino dalla lunghezza delle giornate. Questo perché la latitudine ha una sua definizione naturale. Il riferimento, il parallelo “zero”, è l’equatore. E l’equatore è una linea che per convenzione abbiamo fissato sulla circonferenza massima della superficie terrestre. Convenzione umana quindi, certo, ma stabilita su leggi naturali. Già Tolomeo, nel 150 d.C., considerava il parallelo zero sull’equatore, credendo che la vita sotto di esso fosse addirittura impossibile. La latitudine quindi è un concetto naturale, intuitivo, che l’uomo usa e conosce da millenni.
Ma la longitudine? La longitudine è un’altra storia. Innanzitutto, il cielo fornisce pochissime informazioni sulla nostra longitudine, e la durata delle giornate non varia al variare di essa. E poi c’è la storia del meridiano fondamentale. Per noi il meridiano zero è quello di Greenwich. E il motivo è semplice: il meridiano zero è convenzionalmente posto su quello passante per Greenwich…perché sì. Ok in realtà ci sono tantissime ragioni storiche e politiche, ma da un punto di vista puramente naturale e scientifico, la risposta è: perché sì. L’equatore è diverso dal parallelo passante per Londra, Buenos Aires o Cesena! Ma i meridiani passanti per queste città no! Sono tutti uguali, uno vale l’altro! Quindi, se abbiamo fissato uno zero sostanzialmente casuale, come faccio a sapere su quale meridiano mi trovo?
Per contestualizzare un po’ il problema: nel 1707, presso le isole Scilly, vicino alla Cornovaglia, quattro navi da guerra britanniche navigavano verso patria credendo di essere molto più lontane dalla meta di quanto effettivamente fossero; complice il maltempo e la scarsa visibilità, la Cornovaglia spuntò all’improvviso, le navi si incagliarono e circa 1400 marinai persero la vita. Nel 1707! Appena tre secoli fa! Un’era in cui esistevano già numerose soluzioni con cui misurare la propria latitudine da millenni!
Per risolvere il problema, nel 1714 il parlamento inglese emanò il Longitudine Act in cui offrì una ricompensa di circa 10 milioni di euro odierni a chiunque proponesse una soluzione efficace. La sfida fu accolta e vinta da…un orologiaio! In effetti, era ormai chiaro che misurare la longitudine equivaleva a misurare correttamente un orario. Anzi due. Se so esattamente che ore sono nel luogo in cui mi trovo, e in un altro luogo di riferimento, per esempio una piccola piana fuori Londra chiamata Greenwich, posso calcolare quanto “a est” o “a ovest” sono rispetto al riferimento!
Ancora una volta, per noi uomini digitali questa sembra una sfida semplice. Questo calcolo in realtà presupponeva che ogni nave che partisse, per esempio, da Londra, imbarcasse un orologio sempre sincronizzato con l’orologio di Greenwich. Nel diciottesimo secolo gli orologi erano tutti meccanici, basati cioè sulle oscillazioni periodiche e costanti di un pendolo. Un pendolo oscilla tranquillo e sereno negli uffici e nei palazzi di Greenwich, con il pavimento fermo, stabile e che mantiene sempre lo stesso angolo di inclinazione con la forza di gravità. Ma in mare, le cose sono molto diverse. Progettare e costruire un orologio in grado di funzionare correttamente sui galeoni che solcavano l’Atlantico era tutta un’enorme sfida tecnologica.
Questa è la sfida che è raccontata da Dava Sobel, divulgatrice americana, nel suo libro Longitudine. Questo articolo non voleva essere una recensione, ma piuttosto una sua introduzione e un caloroso consiglio di lettura. Non solo il racconto, ma l’intera questione e la sua storia e soluzione, per noi oggi banale e quasi dimenticata, è un esempio di come una corretta conoscenza scientifica e il conseguente sviluppo di una tecnologia possono essere sfide davvero avvincenti! E di come queste tecnologie nascano e fioriscano nei contesti di cui leggiamo solo nei libri: la storia della soluzione al problema della longitudine può essere tanto avvincente quanto le storie di esploratori e pirati che ne hanno beneficiato!