Effetto placebo, guida galattica per capirne di piu’.

Il termine “effetto placebo” e’ entrato  nel nostro vocabolario familiare da molto tempo. Quando ero piccola mia madre mi dava le Ziguli’, caramelline vendute in farmacia negli anni 80 che erano confezionate in blister come le normali medicine. Era “solo” zucchero; eppure, mia madre me le vendeva come  medicine per “andare bene a scuola”. Io le prendevo , mi sentivo piu’ “brava” e, soprattutto,  andavo a scuola senza brontolare troppo. Mia sorella a quel punto, con la crudeltà che solo dalle sorelle maggiori ci si puo’ aspettare, mi disse che si trattava solo di placebo, “sei piu’ brava solo se studi di piu’”, diceva. Nella mia testa da settenne non capivo cosa fosse questo placebo, ma, di contro, le zigulì al mirtillo rimanevano il mio trattamento preferito per migliorare la performance scolastica.

[di frolicsomepl da Pixabay]

Ma cosa ne sappiamo a livello medico al giorno d’oggi?  

La  prima premessa da tenere in considerazione e’ che lo studio dell’effetto placebo ha una storia lunghissima, e solo recentemente, si e’ iniziato a indagare in modo più approfondito su questo effetto 1. La seconda premessa implica il fatto che solo alcuni campi medici, come la psichiatria, possono avvalersi di svariati studi rigorosi in cui l’effetto placebo e’ stato valutato estensivamente, mentre altri, come ad esempio la chirurgia, incontrano maggiori difficolta’ per indagare al loro interno la complessita’ di questo effetto. 

Un placebo, secondo la definizione della Treccani, è una sostanza inerte o un trattamento medico senza alcuna proprietà terapeutica. Normalmente impiegato come controllo negli studi clinici, il placebo prevede la somministrazione di un trattamento privo di alcun composto famarcologicamente attivo, che si distingue dal gruppo sperimentale non trattato 2

Ora che abbiamo una definizione, proveremo con uno sforzo  a capire l’effetto placebo.

Possiamo provare a considerare l’effetto placebo  come la conseguenza della somministrazione di un trattamento dove si osserva un cambiamento fisiologico o mentale puramente collegato al fatto di aver ricevuto questa cura in un contesto sanitario. Per decadi, si sono visti miglioramenti nel gruppo “placebo” in moltissimi studi clinici fino a realizzare che, l’effetto placebo di per sè, potesse influenzare positivamente la condizione del paziente e che quindi, andasse considerato in modo piu’ accurato 3.

Per studiare, in modo concreto l’effetto placebo, bisogna escludere dei fattori che potrebbero compromettere i risultati. Il primo fattore e’ la remissione spontanea di un sintomo dovuto al normale processo di guarigione. Un esempio per capirci meglio, prendiamo una malattia che ha un decorso di guarigione spontaneo in 4 giorni (un raffreddore), se il paziente guarisce in quei 4 giorni, il miglioramento non e’ dovuto ne’ al trattamento, ne’ tantomeno all’effetto placebo, ma semplicemente al decorso normale di guarigione della patologia in oggetto. Il secondo fattore da escludere e’ quello che si chiama regressione verso la media, importante parametro della ricerca clinica. Questo fenomeno statistico e’ dovuto al fatto che alla prima valutazione medica del paziente, i sintomi della patologia X sono molto spesso vicini al loro massimo valore, mentre, ad una seconda visita, normalmente il paziente ha una riduzione del sintomo che non e’ dovuto a nessun trattamente in cui il paziente viene sottoposto, incluso il placebo 4.

Se approcciamo l’effetto placebo in maniera logica e ci chiediamo come sia possibile che un paziente migliori dopo la somministrazione di nessun trattamento le prime risposte che ci possiamo dare sono tre:

il paziente e’ migliorato veramente ma non per il trattamento (e qui mettiamo i fattori di esclusione appena citati piu’ altri motivi al contorno come ad esempio concause non identificate o non riportate al medico curante), il paziente non e’ migliorato ma il medico pensa di si (i bias personali purtroppo interferiscono non poco nella sperimentazione clinica), ed infine, il paziente non e’ migliorato ma il paziente stesso si sente meglio (e questo invece dipende dal bias del paziente). Se questi fattori non vengono esclusi o quanto meno considerati nella ricerca clinica, si rischia di incorrere nell’errore di non valutare correttamente né l’effetto del trattamento, né l’effetto placebo che è invece, sempre piu’ chiaramente, un fenomeno che coinvolge meccanismi molto complessi al livello cerebrale 5

Adesso che abbiamo un po’ più chiaro cosa sia l’effetto placebo, vorrei darvi uno spaccato della ricerca scientifica contemporanea che mi ha più entusiasmato. Di fatto, una volta accertato l’effetto placebo, le domande che ci possiamo fare sono molteplici: cosa accomuna i pazienti che rispondono bene al trattamento placebo? Posso predire quali pazienti risponderanno meglio al placebo? Posso sfruttare l’effetto placebo per migliorare e personalizzare la terapia riducendo magari effetti indesiderati arrivando ad una migliore guarigione?

Queste sono le domande che la comunità scientifica si sta facendo sulla base di molti lavori incrociati, in cui si sono identificati i profili genetici di pazienti piu’ responsivi all’effetto placebo. Di seguito alla recente rivoluzione genomica e proteomica si e’ creata la placebomica (nds. placebome in inglese, Dio me ne scampi l’ho italianizzato, ma il termine e’ talmente nuovo che anche la Crusca mi dara’ pace su questo)2. Il Placeboma e’ l’insieme di geni che sembrano essere modulati differenzialmente in pazienti con un’alta risposta dell’effetto placebo. I geni nella lista sono molti e interessano diversi processi biochimici che avvengono nel nostro corpo come la percezione del dolore, il sistema immunitario e il sistema nervoso 6. Parafrasando Socrate, dalla sapienza nasce virtu’. 

Sfruttando questi dati, si potrebbe quindi iniziare ad escludere dagli studi clinici, i pazienti molto reattivi al placebo per aumentare il rigore di studi clinici farmacologici. Oppure, sapendo in anticipo che il paziente ha un profilo per cui risponde meglio all’amministrazione della morfina con un intenso effetto placebo si potrebbe ridurre il dosaggio di morfina, riducendo l’effetto tossico e il rischio associato di dipendenza. Le prospettive sono moltissime e molto intriganti e vanno dalla farmacologia alla chirurgia, perche’, ebbene sì, l’effetto placebo si e’ visto anche per procedure chirurgiche. Ci sono pochi studi clinici, per ovvie ragioni, che hanno paragonato la chirurgia rispetto al placebo (che consiste nel seguire tutta la procedura di preparazione alla chirurgia e ricevere solo l’incisione superficiale), ma anche in questi studi e’ stato documentato un effetto placebo: i pazienti migliorano nonostante non avessero ricostruito il legamento ma solo tagliato la pelle7. E su questo forse scriverò un altro articolo, ma solo se posso prendere una zigulì al mirtillo.


Francesca Taraballi, Ph.D

Bibliografia

  • Jütte, R. The early history of the placebo. Complementary therapies in medicine 21, 94-97 (2013).
  • Hall, K. T., Loscalzo, J. & Kaptchuk, T. J. Genetics and the placebo effect: the placebome. Trends in molecular medicine 21, 285-294 (2015).
  • Enck, P., Klosterhalfen, S., Weimer, K., Horing, B. & Zipfel, S. The placebo response in clinical trials: more questions than answers. Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences 366, 1889-1895 (2011).
  • Benedetti, F. Mechanisms of placebo and placebo-related effects across diseases and treatments. Annu. Rev. Pharmacol. Toxicol. 48, 33-60 (2008).
  • Colagiuri, B., Schenk, L. A., Kessler, M. D., Dorsey, S. G. & Colloca, L. The placebo effect: from concepts to genes. Neuroscience 307, 171-190 (2015).
  • Hall, K. T., Loscalzo, J. & Kaptchuk, T. Pharmacogenomics and the placebo response. ACS chemical neuroscience 9, 633-635 (2018). 7 Harris I. Surgery, the ultimate placebo. (book)
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