“Controllo missione abbiamo un problema, ho bisogno di una chiave inglese, potete spedirla con il teletrasporto dalla terra, passo?”
“no, ma puoi fare di meglio, puoi stamparla tu, passo!”
Ok, lo ammetto: mi sono lasciato prendere dalla fantasia, ma credo che la conversazione sia stata un po’ diversa.
Comunque, nel dicembre del 2014 il comandante della stazione spaziale allora in carica, Barry Wilmore, si trovò in difficoltà non potendo svolgere un’esercitazione con Samantha Cristoforetti sul nuovo robot in dotazione, perché non era in possesso di un piccolo e semplice attrezzo.
Per cui la soluzione più semplice fu quella di farsi inviare via mail dalla terra il disegno dell’attrezzo e “costruirlo” utilizzando la stampante 3D di bordo denominata pop3D (Portable On-board Printer).
Questa stampante realizzata dall’azienda Made in Space, in collaborazione con l’ESA e con un significativo contributo italiano, ha indagato la possibilità di realizzare componenti in 3D direttamente nello spazio, quindi in microgravità, così da poter organizzare al meglio il carico utile nelle missioni di lunga durata.
(magari per un bel viaggio verso Marte!)
Ma ora, è il caso di dare un po di definizioni e di paroloni per capire meglio il processo.
La stampa 3D fa parte di quelle tecnologie denominate Additive Manufacturing, cioè che consentono la fabbricazione di un componente per aggiunta di materiale, generalmente tramite sovrapposizione di layers.
Al contrario delle tecnologie “sottrattive” che realizzano il componente asportando materiale da un pezzo grezzo di dimensioni maggiori, ad esempio per asportazione di trucioli.
Nello specifico, la stampa 3D costruisce il componente tramite l’estrusione di un polimero attraverso un ugello riscaldato e messo in movimento da tre assi guidati dal controllo numerico che esegue le istruzioni fornite del CAD.
La Pop3D è stata progettata per lavorare con il minimo uso di energia e impegno da parte dell’equipaggio. Inoltre, occupa il minimo ingombro possibile, infatti è un cubo con lato di 25 cm e peso di 5,5 kg (sulla Terra, nello spazio un po’ meno!).
L’ugello può stampare un semplice filamento di PLA, tipo quello usato dalle sue colleghe sulla terra.
Attualmente la stampa 3D è molto utilizzata per la realizzazione di prototipi in campo industriale, ma in maniera più estesa l’Additive Manufacturing è impiegato per produrre componenti più o meno complessi in ambito automotive o aerospaziale.
Inoltre, la NASA sta sperimentando la possibilità di costruire edifici che ospiteranno gli astronauti delle future missioni su Marte o sulla Luna, tramite un processo di stampa 3D su larga scala, che utilizza la regolite (la polvere lunare) come materiale da estrudere.
Questo processo, apparentemente complesso, è molto simile alla costruzione di un castello di sabbia, con la “minima” differenza di utilizzare un braccio robot, che permette di realizzare una struttura alta e larga a sufficienza… E ovviamente lavorare in condizioni atmosferiche non terrestri!
Quest’ultima applicazione è ancora in fase di sviluppo, per adesso la stampa 3D può essere utilizzata, nel caso vi troviate sulla ISS e abbiate dimenticato qualche utensile, come valida alternativa al teletrasporto!
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Gianluigi De Simone
Ingegnere meccanico ma un po’ gestionale, laureato al politecnico di Bari, attualmente vive e lavora a Torino. Appassionato di scienza e tecnologia, lover of Ireland, divoratore di libri e serie TV. “Ho smesso di discutere con la gente ‘informata’, quindi scrivo!”
Per approfondire:
- https://www.smartworld.it/tecnologia/gli-astronauti-sulla-iss-ricevono-una-chiave-inglese-via-email.html;
- https://www.autodesk.it/redshift/stampa-3d-nello-spazio/;
- http://spaceflight101.com/iss/made-in-space-1st-iss-3d-printer/;
- https://www.nasa.gov/content/international-space-station-s-3-d-printer;
- http://www.ictbusiness.it/cont/news/la-stampante-3d-volata-nello-spazio-e-made-in-italy/33559/1.html?scroll=1#.XVuicBjOOyU.