Il Fungo del Tè – un secolo dopo

Gli esperimenti culinari sono estremamente divertenti da realizzare e i risultati sono talvolta imprevedibili.

È così che, a cavallo tra ‘800 e ‘900, dapprima in Manciuria (le origini non sono certe) e più tardi in Russia, nacque e si diffuse una bevanda particolare: il Kombucha.

Prepararlo è apparentemente semplice, tant’è che è possibile farlo anche a casa. Si fa bollire dell’acqua non clorata e ci si scioglie dentro dello zucchero. Si prendono delle foglie di tè e si fanno infondere nell’acqua calda zuccherata; successivamente vengono eliminate, e il tè viene fatto raffreddare. A questo punto viene aggiunta una coltura simbiotica di batteri e lieviti, detta Scoby (Symbiotic Colony of Bacteria and Yeast), che consente l’avvio della fermentazione.

La fermentazione è, lo ricordiamo, quel processo in cui i carboidrati – come zucchero e amido – vengono trasformati in alcol o acido: infatti, l’odore che viene sprigionato dall’intruglio, in questa fase della preparazione, ricorda lievemente l’aceto.

Il tutto viene poi lasciato riposare per qualche tempo in un contenitore debitamente coperto da un canovaccio o un tessuto traspirante, per evitare che gli insetti possano contaminare il preparato.

[Di Geraud pfeiffer da Pexels]

La coltura del Kombucha è chiamata – nelle terre russe e ucraine, laddove è stata creata – чайный гриб (fungo del tè) e la bevanda гриб (fungo) o квас (te kvas), ma si distingue dal normale kvas, che viene ottenuto principalmente da cereali e linfa di betulla, e viene sottoposto alla sola fermentazione con lievito, senza l’aggiunta di batteri.

Questa coltura, definita tecnicamente zoogleal mat, ha l’aspetto di una frittella gommosa alla quale si deve l’appellativo di “fungo”, ed è composta da Acetobacter e alcuni lieviti; secondo le analisi svolte su molteplici campioni, si tratterebbe nella maggior parte dei casi di Brettanomyces (appartenente alla famiglia delle Pichiaceae, e determinante nei processi di birrificazione e vinificazione). 

In una percentuale minore di casi invece, sono stati rilevati Saccharomyces e Zygosaccharomyces (utilizzati anch’essi per la produzione di vino e birra, oltre che di pane).

Caduta nel dimenticatoio per decenni, questa bevanda è stata riscoperta e ha riscosso particolare successo in America e in Australia.

È di questi giorni la notizia che la bibita sia sbarcata anche in nord Italia, precisamente nel Varesotto, grazie alla passione di 5 giovani e alla fusione di due produzioni artigianali lombarde: ad oggi vengono prodotti 10000 litri di Kombucha al mese e la rete distributiva coinvolge più di 100 rivenditori.

Vengono decantate le grandi proprietà probiotiche dei suoi acidi organici e quelle antiossidanti del tè, a cui si aggiungono le solite – patetiche – “voci” che millantano effetti curativi contro l’artrite e il cancro.

È chiaro che non esiste alcuna prova certa di qualsiasi ipotetico effetto positivo sulla nostra salute…. Tranne uno: berne un bel bicchiere con ghiaccio, disseta che è una meraviglia. Provare per credere!


Doriana Donno

Fonti:

  • Kombucha fermentation and its antimicrobial activity, Journal of Agricultural and Food Chemistry, vol.48, n.6, 2000
  • The yeast spectrum of the ‘tea fungus Kombucha’, Mayser, 2009, Mycoses, Wiley Online Library
  • Kombucha, Wikipedia.org
  • Il Kombucha sbarca a Varese, La Prealpina.it
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