Il tempo di dire tempo

Il tempo, diceva Albert Einstein, non è altro che un’illusione.

Correva l’anno 1929 e, stanco delle mille domande dei giornalisti sulla teoria della relatività, disse alla sua segretaria di rispondere così agli ansiosi intervistatori: “quando un uomo siede un’ora in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora!”.

Quello che voleva dire Einstein con il suo esempio è che non soltanto lo scorrere del tempo degli orologi è diverso da quello che percepiamo, ma che il tempo così come lo percepiamo qui sulla Terra è una realtà locale di molto diversa rispetto a quella al di fuori del nostro pianeta. 


Se possiamo in generale definire lo scorrere del tempo, possiamo pure quantificare il tempo di dire “tempo”? O altrimenti, è possibile misurare la velocità assoluta con cui il tempo scorre?

I principi della fisica ci dicono che la freccia del tempo punta sempre in una direzione, i.e. il tempo va sempre in avanti e non torna mai indietro, in stretta relazione con la sua definizione stessa e col principio di causalità.

Per capire più a fondo quali problematiche nascono dall’analisi del tempo, dobbiamo parlare di relatività.

[di Monoar, da Pixabay]

La relatività del tempo

La teoria della relatività di Einstein nacque in seguito allo studio delle difficoltà presentate dell’elettrodinamica dei corpi in moto descritta dalle equazioni di Maxwell.

Il problema era che queste equazioni non conservavano la stessa forma passando da un sistema di riferimento a un altro applicando le regole date da Galileo [1] (useremo i termini “osservatore” e “sistema di riferimento” come sinonimi) rappresentate dalle seguenti relazioni

dove indichiamo con x e t rispettivamente la coordinata spaziale e temporale del primo osservatore e con x’ e t’ quelle del secondo osservatore che si muove rispetto al primo con una velocità costante relativa v lungo l’asse delle x.

È chiaro dall’analisi di questa trasformazione che il tempo rimane invariato tra i due osservatori, fatto universalmente accettato fino alla fine del 19° secolo: esso era considerato da tutti come una quantità fisica assoluta.

Agli inizi del ‘900 Lorentz aveva scoperto una trasformazione di coordinate, la celebre trasformazione di Lorentz, che lascia invariate le equazioni di Maxwell e che si riduce a quella di Galileo per velocità trascurabili rispetto alla velocità della luce di circa 300 000 km/sec:

Dove

è un il nuovo fattore introdotto che, volendo spiegarlo in maniera pratica, è qualitativamente associabile al “tempo di dire tempo”.

La grande rivoluzione di Einstein fu di mostrare che il tempo è relativo all’osservatore e come tale deve essere considerato nella descrizione dei fenomeni fisici.

Da queste analisi derivarono dei fenomeni completamente inattesi, come ad esempio la relatività della simultaneità, la contrazione delle lunghezze e la dilatazione dei tempi.

Tuttavia non tutto è relativo, ciò che rimane invariato sono le leggi fisiche e la velocità della luce.

Consideriamo ora il tempo proprio di un determinato fenomeno visto da un primo osservatore solidale, ovvero l’intervallo di tempo misurato nel suo stesso sistema di riferimento (in cui l’osservatore ha velocità relativa v = 0).

Applicando le trasformazioni di Lorentz, lo stesso intervallo temporale misurato da un secondo osservatore (che chiamiamo t’) che si muove con velocità costante v ≠ 0 rispetto al primo è:

dove gamma è maggiore di 1. L’equazione rappresenta quella che viene comunemente chiamata dilatazione relativistica dei tempi: il secondo osservatore misura con il suo orologio un intervallo temporale t’ più grande rispetto al primo osservatore (t).

Giusto per fornire un esempio, supponiamo che v=240000 km/s, cioè v=0.8c. Per questi valori si ha gamma uguale a 1.67, ovvero se per il primo osservatore t =1 anno, allora per il secondo sarà passato più di un anno e mezzo!

Un caso particolare sono i fotoni, i quali, muovendosi alla velocità della luce (v=c) nello spazio, non hanno velocità residua per muoversi nel tempo. Per loro dunque il “tempo di dire tempo” è infinito (gamma è uguale a ∞), o se volete per loro il tempo non passa. Un fotone emerso dal Big Bang ha la stessa età oggi di quando è stato prodotto.

L’aspetto più indigesto nella relatività non è tanto il fatto che il tempo scorra diversamente, ma piuttosto la frantumazione del concetto di simultaneità. È impossibile dire chi tra due osservatori sia più vecchio “in assoluto in un dato istante”, semplicemente perché la domanda non ha senso. La relatività insegna che occorre indicare un sistema inerziale a cui far riferimento. [2]

Inoltre, se prendiamo la Terra come sistema di riferimento inerziale, non significa che un giorno, un mese o un anno di qualcuno in viaggio nello spazio hanno avuto meno minuti, meno ore o meno giorni di quella che è la loro durata convenzionale, ma che la dilatazione del tempo ha fatto scorrere ogni singolo secondo più lentamente rispetto al tempo scandito da un qualsiasi orologio che si trovava sulla Terra.

Se infine considerassimo pure la relatività generale, scopriremmo che lo scorrimento del tempo viene anche rallentato dalla presenza di un campo gravitazionale!

L’illusione del tempo

Come facciamo dunque a determinare il tempo di dire “tempo”? Come abbiamo visto, lo scorrere del tempo è un fenomeno altamente soggettivo che dipende da chi lo osserva.

Una persona accanto a noi che ci sta ascoltando non noterà alcuna differenza tra il tempo nostro e il suo, però se la stessa fosse in viaggio nello spazio noterebbe delle differenze importanti. Un fotone addirittura non riuscirebbe mai a sentire la fine della parola “tempo”!

Ancora oggi, il concetto di tempo è in continua evoluzione e oggetto di numerosi dibattiti a tal punto che per alcuni fisici che studiano la struttura fondamentale dell’universo esso può essere considerato come una variabile eliminabile [3], una volta che si capisce come si mescola con lo spazio esso diventa un concetto inutile: dimenticando il tempo tutto potrebbe diventare più semplice.

Marco Faggian
Laureato magistrale in fisica a Padova, ho continuato i miei studi con un doppio PhD in fisica statistica di non-equilibrio presso l’University of Aberdeen in Scozia e la Faculty of Information Studies in Slovenia.Oggi lavoro come Data Scientist in Francia e nel tempo libero mi trasformo in un gamer divoratore di libri e appassionato musica.

Fonti:

  1. E. Segrè – Personaggi e scoperte della fisica contemporanea;
  2. V. Barone – Relatività. Principi e applicazioni;
  3. C. Rovelli – L’ordine del tempo.