La depressione è un dono (?)
[di Dweedon1, Pixabay]

“È deprimente capire che ho speso tutta la mia vita deprimendomi. La cosa più deprimente è aver pensato che le cause fossero esterne. Ora ho compreso che è qualcosa che ho imparato a fare e che faccio a me stesso. – Dire che questa è una notizia deprimente è come dire che sei su una nave che sta affondando e hai appena scorto una scialuppa di salvataggio.” [Cheri Huber]

In questo bollente lunedì di fine luglio, dopo qualche settimana di silenzio, torno per scrivervi queste righe. Dopo aver piacevolmente discorso circa la filosofia naturale, Galileo e i terrapiattisti, forma e sostanza nella concezione aristotelica, Durkheim e l’anomia, Polanji e la sua logica del dono, mi riallaccio a quest’ultima per proporvi un’interessante lettura estiva.

Recentemente, infatti, mi sono imbattuta in un libro, Oscar Mondadori del 2006, che tratta in modo decisamente insolito di depressione. L’autrice è Cheri Huber, un’insegnante di meditazione che ha fondato alcuni centri di apprendimento della filosofia zen in California. Di lei si hanno poche informazioni e siccome il mio approccio ad una lettura comincia sempre con la conoscenza di colui che ne è l’artefice, non nego di essermi cimentata nel testo con più di qualche perplessità (data anche dal fatto che la filosofia orientale non mi è particolarmente affine).

Pagina dopo pagina però, il mio senso critico trovava ottimi spunti di riflessione, che mi hanno poi permesso di rielaborare in parte la concezione che avevo di questa patologia.

Il titolo è “Il dono della depressione – il male oscuro come opportunità di crescita spirituale.

Viene chiarito fin da subito che non si vuol suggerire l’abbandono di terapie mediche e psicologiche: sappiamo benissimo che la patologia si presenta in molteplici forme e attraversa diversi stadi; riconoscere il problema e farsi aiutare non è deplorevole, né sintomo di codardia, bensì di saggezza e amor proprio.

Oggi come oggi, moltissime persone sono afflitte da una lieve depressione cronica, se così si può dire: vita frenetica, problemi lavorativi, gabole burocratiche, senso di insicurezza e ingiustizia sono fattori che ormai accomunano un po’ tutti noi e che inevitabilmente contribuiscono alla nostra piccola o grande frustrazione.

Ecco, penso che leggere questo libro possa regalare un po’ di fiducia in noi stessi e accendere la miccia del miglioramento nel nostro approccio alla vita.

Ciò che più mi ha colpito leggendo le parole di Cheri Huber è stata l’idea che la depressione possa generare da un giudizio errato che diamo a noi stessi: 

«Non è vero che certe sensazioni vanno bene e altre no. Il problema non è la sensazione, ma il giudizio a cui la sottoponiamo. Quel che facciamo delle nostre sensazioni determina la qualità della relazione con noi stessi. È quello che una persona identifica come “un problema veramente grande” a esserlo per lei. La paura e l’odio verso l’esperienza la tengono bloccata, non la depressione. Quando insorge la depressione, insieme arriva anche la reazione destinata a mantenerla.».

Il consiglio è quindi di non combattere la depressione con l’odio e la paura, ma con l’accettazione. Come fosse un’amica che viene in nostro aiuto per avvisarci di qualcosa che non va, qualcosa che ci reca ansia, tristezza, insoddisfazione e ci dà la possibilità di osservarci, di guardarci dentro per scoprire se il problema è reale o è solo frutto di una nostra considerazione sbagliata.

«Per come la vedo io, la difficoltà più grossa è portare una persona ad aprirsi alla possibilità che quel che pensa continui così, possa non continuare affatto. Tutto, nel nostro condizionamento, ci dice che il modo di liberarci di qualcosa è odiarla, odiarla a morte, resisterle fino alla morte. Ma è proprio questa resistenza a tenere in vita il problema. Cerchiamo disperatamente di liberarci di qualcosa e non ci riusciamo, nemmeno per un secondo; allora smettiamo di resisterle, la invitiamo ad entrare in noi, e non la troviamo più da nessuna parte.»

Come si fa a riconoscere un condizionamento e a valutarci in maniera più benevola e obiettiva? Il libro fornisce degli spunti interessanti, che spaziano tra tempo di riflessione e di ascolto, alimentazione sana, attività fisica e molto altro. La cosa fondamentale da comprendere è che nulla è definitivo e non è mai troppo tardi (per citare la nota trasmissione televisiva del secolo scorso). C’è sempre spazio e tempo per migliorare qualcosa di ciò che siamo e ciò che ci circonda.

«Non osservare una sola volta. Vedi cosa è vero per te ora, e verificalo dopo una settimana, dopo un mese, dopo tre mesi. Datti una seconda, una terza, una quarta possibilità di vedere qualcosa di nuovo. Avere una nuova percezione e di conseguenza cambiare idea non significa essere indecisi, vuol dire essere flessibili. E la flessibilità è intelligente.».

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Doriana Donno Dopo il corso di Laurea in Letteratura e Filosofia nel 2011 a Milano, Doriana approda con la famiglia in terra elvetica, dove veste i panni di una segretaria super organizzata in una piccola azienda di informatica, ma pratica quotidianamente la filosofia per passione e vocazione. 
Nutre un profondo interesse per ogni aspetto della vita, in particolare si dedica ad uno studio continuo dei temi antropologici e sociologici.