Ma tu ce l’hai il Fattore G?
[di Rob_de_Roy da Pixabay]

La misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario.

[Albert Einstein]

Cari lettori di Bar Scienza, è con gioia che oggi vi introduco ad un argomento che sono certa vi stia molto a cuore.

Nei delicati mesi passati, molti di voi ne avranno sicuramente parlato, ci si saranno appellati disperatamente, soprattutto mentre tanti di quelli attorno ne sembravano totalmente privi, a giudicare da certi comportamenti.

Sto parlando dell’intelligenza.

Cos’è l’intelligenza?

Voi sapreste darne una definizione netta e univoca?

Non è così semplice.

Possiamo innanzitutto stabilire che l’intelligenza non è un qualcosa di singolarmente definibile, ma piuttosto un’entità globale e multi-sfaccettata.

Nel concetto di intelligenza, é possibile includere tre macro-tipi di capacità:

  • il ragionamento logico, che consente di intuire, comparare, adattare e risolvere problemi;
  • la parola, intesa come abilità di espressione e ricchezza di contenuti;
  • la praticità, che esprime la capacità di comprendere gli aspetti essenziali delle diverse situazioni e saper raggiungere gli obiettivi, anche e soprattutto al presentarsi di variabili inedite.

Agli inizi del Novecento, in Occidente dominava la famosa teoria del Fattore G: coniata dallo psicologo e statistico Charles Spearman, secondo cui l’intelligenza si riassumeva nella “generale capacità di risolvere problemi, concreti o astratti, di varia natura”, da qui appunto Fattore G, General Factor.

Qualche decennio più tardi, lo psicologo Howard Gardner introdusse al mondo scientifico e accademico la teoria delle Intelligenze Multiple, individuandone otto:

  • l’intelligenza linguistica;
  • quella logico-matematica;
  • quella musicale;
  • quella spaziale, cioè l’orientamento, il riconoscimento e l’utilizzo dello spazio attorno a noi;
  • l’intelligenza corporeo-cinestetica, attraverso cui coordiniamo e usiamo il nostro corpo per compiere azioni di varia natura;
  • l’intelligenza interpersonale, ossia la capacità di comprendere le motivazioni, i desideri e i disagi delle altre persone; 
  • l’intelligenza naturalistica, cioè quella che consente agli esseri umani di interagire col mondo e di sentirsene parte.

L’intelligenza può essere quindi definita un insieme di abilità, comportamenti, pensieri ed emozioni, che vengono spesso adoperate in contemporanea, completandosi a vicenda per un agire più efficace ed efficiente possibile.

Secondo Gardner infatti, lo scopo dell’essere umano è capire come utilizzare al meglio queste capacità, così da garantirsi un maggiore benessere individuale e collettivo.

Vi siete accorti che vi ho elencato solo sette degli otto tipi di intelligenza delineati da Gardner?

L’ottava intelligenza é la condizione necessaria ma non sufficiente a tutte le altre citate poc’anzi: l’intelligenza intrapersonale, che, di lì a poco, venne poi rinominata intelligenza emotiva.

Essa consiste nell’essere consci dei propri sentimenti e di saperli esprimere, senza farsi sopraffare da essi. È la capacità di capire se stessi, le proprie paure e motivazioni, i punti di forza e le debolezze, e imparare a gestirli.

Uno dei suoi maggiori studiosi, lo psicologo Daniel Goleman, ne spiega l’essenzialità, sottolineando che l’abilità di identificare e monitorare le proprie emozioni incrementa il livello di autoconsapevolezza dell’individuo e la possibilità di realizzarsi in modo pieno ed equilibrato nella vita.

Ma come possiamo coltivare l’intelligenza emotiva?

La risposta risiede negli altri.

E proprio per questo, la prima “scuola emotiva” è la famiglia.

L’educazione emozionale passa attraverso le parole, le azioni e i modelli che i genitori offrono ai loro figli, ossia la dimostrazione quotidiana di come gestiscono i propri sentimenti e la propria relazione.

É lampante quindi che avere genitori intelligenti dal punto di vista emotivo è decisivo per il figlio, affinché egli possa sviluppare la sua in maniera ottimale.

Coloro che imparano a gestire le proprie emozioni e a controllare i propri istinti, tollerano meglio le situazioni stressanti, imparano a comunicare meglio i propri stati emozionali e sono in grado di sviluppare relazioni positive con famiglia e amici; inoltre, ma non meno importante, ottengono più successo a scuola, a lavoro e nella vita.

A proposito di scuola, sarebbe auspicabile un aiuto concreto del mondo dell’istruzione nel grande lavoro educativo che incombe sulle famiglie, con una partecipazione programmata e attiva, che favorisca la creazione di un ambiente emotivo scolastico sicuro, sereno e propedeutico alla comprensione e alla gestione di emozioni e sentimenti.

Bè, che dire? Di tutte le intelligenze prese in esame, quella emotiva è sicuramente la più difficile da coltivare.

Diciamoci la verità: dopo aver letto (scritto, nel mio caso) quest’articolo, sentiamo intimamente di avere ampi margini di miglioramento! 

Intendo dal punto di vista emotivo eh, su tutti gli altri fronti siamo dei geni indiscussi. 

E allora proviamoci, a migliorare, c’è sempre spazio per il cambiamento. Dopotutto, come diceva il grande Thomas Stearns Eliot?

Ogni momento è un nuovo inizio.

Doriana Donno

Fonti e suggerimenti di lettura:

Gardner H, Intelligenze multiple, 1994, Ananas;Ianes D, Pellai A, Le emozioni. Proposte di educazione affettivo-emotiva a scuola e in famiglia, 2011, Centro Studi Erickson.

Questo articolo ha un commento

  1. Trebini Donatella

    Articolo molto interessante, sufficentemente chiaro da permettere a ognuno di noi di capirsi,autoanalizzarsi e, se possibile , migliorarsi! Ottimo spunto per riflettere! Bravissima Doriana!

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