Non è bello ciò che è bello… È bello ciò che è buono!

«La bellezza salverà il mondo.»

[Fëdor Michajlovič Dostoevskij]

[di InspiredImages, Pixabay]

Qualche lunedì fa, abbiamo trascorso una manciata di piacevoli minuti in compagnia del grande scienziato Galileo Galilei, immaginando di essere accanto a lui a scrutare gli astri attraverso il cannocchiale.

Oggi, il nostro viaggio virtuale nel tempo ci porta ancora più lontano.

Ci troviamo nel periodo ellenico, tra VI e IV secolo a.C., in una ridente cittadina del Golfo Saronico, che si affaccia sul Mar Egeo. Non è solo la prima città-stato democratica dell’antica Grecia, ma è anche la culla del concetto di isonomia [1]: “la legge è uguale per tutti”.

All’avanguardia, fervente di cultura e dibattiti filosofici, è il luogo in cui poter respirare la vivacità delle idee e del progresso, anche se Eraclito in uno dei suoi scritti la definisce un “groviglio di vicoli stretti e maleodoranti”, ma questo è un altro discorso: Atene.

Qui viveva Platone, un giovane di famiglia aristocratica, allievo del filosofo Socrate e, successivamente, fondatore di una scuola filosofica, L’Accademia [2].

Ciò che Platone rappresenta tutt’oggi per la storia della filosofia occidentale è difficile da riassumere: le tematiche spaziano dal problema della conoscenza al concetto di giustizia, fino a trattare di numeri e geometria in veste di entità reali, tanto che è ritenuto dai più padre precursore della matematica e del metodo scientifico [3].

Tra i rivoli affascinanti della sua filosofia, vorrei soffermarmi su una teoria da lui abbozzata e poi ribaltata dal suo maggiore discepolo, Aristotele, perfezionata nell’assunto “forma è sostanza”.

Può sembrare un’affermazione estremamente contraddittoria alla luce dei nostri tempi. Oggi si professa l’esatto contrario: sentiamo spesso dire che “l’abito non fa il monaco” e “ciò che appare non corrisponde a ciò che è”.

Siamo di fronte ad una distorsione della realtà? Aveva ragione Aristotele o il tempo lo ha semplicemente smentito?

Secondo Aristotele, la forma è l’essenza delle cose [4]. Ad esempio, la coscienza è l’essenza dell’uomo, ciò che lo rende tale; allo stesso modo, l’essenza di un triangolo è ciò che lo rende una figura piana limitata da tre segmenti che congiungono a due a due tre punti non allineati.

Fin qui, tutto torna.

Certamente l’uomo è più articolato di una figura geometrica, qualcosa la cui mente arriva oggi a sostenere che no, ciò che la forma mostra spesso non è ciò che si cela nella sostanza.

É un’idea in un certo senso fuorviante, che affonda le sue radici nella cultura cristiana [5], mal interpretandone alcuni precetti.

É fuorviante, infatti, pensare che una persona di bell’aspetto sia tacciata di pochezza intellettuale. Così come non ha senso considerare un individuo cattivo o pericoloso solo perché poco fascinoso.

Spesso però, siamo vittime in prima persona di questi pregiudizi e ci ritroviamo a “catalogare” un passante o un collega proprio secondo parametri scriteriati.

Come se ne viene fuori?

Il primo passo consiste nel rendersi consapevoli che la nostra mente utilizza delle “scorciatoie di pensiero”, chiamate euristiche, al fine di semplificare la complessa realtà che ci circonda.

Avviene così l’elaborazione di stereotipi [5], che possono essere negativi o positivi e che variano a seconda della cultura e del “gruppo” col quale ci si identifica.
Detto in altri termini, il cervello immagazzina e categorizza alcune informazioni che gli consentono di funzionare in risparmio energetico.

In particolare, quando si tratta di stereotipi negativi tendiamo a generalizzare, ossia ad assegnare una caratteristica propria di alcuni soggetti a tutto il “gruppo” di cui quest’ultimi fanno parte.

Affermare che “l’abito non fa il monaco” significa dare vita a uno stereotipo che potrebbe trovare riscontro nella realtà ma che, se generalizzato, può dar vita ad un pregiudizio [6].

Ancora una volta gli antichi greci tornano in nostro soccorso con un ulteriore stereotipo, che possiamo però considerare più “costruttivo”: “Kalòs Kai Agathòs” (καλός κἀγαθός), bello e buono, due aggettivi da cui origina il sostantivo “Kalokagathìa” (καλοκαγαθία), l’ideale di perfezione a cui aspirare, secondo i filosofi ellenici [7].

Il loro messaggio è inequivocabile: ci suggeriscono di osservare la realtà con occhio più critico e attento, poiché la “superficie” delle cose può già dirci tanto su di esse. La forma è in profondo rapporto con la sostanza ed è quest’ultima che contribuisce all’aspetto delle cose.

Guardiamoci attorno, proviamo a cogliere quanta bellezza ci circonda, quanta meraviglia di materia e di pensiero: contemplare la realtà senza pregiudizi susciterebbe in noi una voglia maggiore di rispettarla, di esaltarla e di conservarla nel tempo.

Contempliamo il “bello” nella sua concezione più ampia ed alta: la bellezza non ha un’unica forma.

Seguire il bello, spesso ci fa scoprire anche il buono, ci fa essere persone migliori: è una regola che vale nella maggior parte dei casi.

_

Doriana Donno
Dopo il corso di Laurea in Letteratura e Filosofia nel 2011 a Milano, Doriana approda con la famiglia in terra elvetica, dove veste i panni di una segretaria super organizzata in una piccola azienda di informatica, ma pratica quotidianamente la filosofia per passione e vocazione.
Nutre un profondo interesse per ogni aspetto della vita, in particolare si dedica ad uno studio continuo dei temi antropologici e sociologici.

Bibliografia e fonti:

  1. Harmonia e Isonomia in Magna Grecia e nella tradizione pitagorica di Alfonso Mele, Università degli Studi di Napoli;
  2. Nel 387 a.C., Platone comprò un parco ateniese, ove diede vita alla sua scuola filosofica, che chiamò Accademia in onore dell’eroe greco Academo. Il suo metodo d’insegnamento si opponeva alla retorica e proponeva un’impostazione scientifica, la dialettica;
  3. Platone e la matematica nel mondo antico di Attilio Frajese, Editore Studium;
  4. Metafisica, di Giovanni Reale, Editore Bompiani;
  5. Stereotipi e pregiudizi, di Bruno M. Mazzara, Editore Il Mulino;
  6. Opinione preconcetta, capace di fare assumere atteggiamenti ingiusti, spec. nell’ambito del giudizio o dei rapporti sociali;
  7. Kalòs kai agathòs. Il bello e il buono come crocevia di civiltà, di Giuseppe Limone, Editore Franco Angeli.