Storia di un batterio “alieno” immune alle radiazioni – parte due

Nel precedente articolo (che potete leggere qui), vi ho parlato di D. radiodurans, della sua straordinaria capacità di non rimanere stecchito da radiazioni che ucciderebbero qualsiasi essere vivente (inclusi i raggi laser degli occhi di Patriota di “The Boys”) e di scienziati che provarono a dimostrare che venisse da Marte. 

Ah, mi sono dimenticato di dirvi che nel corso degli anni sono stati trovati altri microorganismi che possiedono questa capacità, ad esempio alcuni Archea ipertermofili.

Oggi cercherò di rispondere alla seguente domanda: 

Perché D.r. e altri microrganismi riescono a sopportare altissimi livelli di radiazioni?

La risposta a questa domanda è stata trovata analizzando le condizioni in cui D. radiodurans ed altri organismi super-resistenti ai raggi gamma riescono a sopravvivere, ovvero: alta resistenza all’essiccamento.

L’essiccamento è in grado di generare DSB (Double Strand Breaks) un tipo di danno molto pericoloso in cui il DNA viene rotto su entrambi i filamenti della doppia elica. D. radiodurans ha però sviluppato un sistema di riparazione del danno estremamente efficiente che gli consente di sopportare tali condizioni: è stato stimato che sia in grado di riparare un numero di DSB maggiore di circa 30 volte rispetto al comune batterio E. coli.  

Sì ma… Cosa c’entra l’essiccamento con le radiazioni? 

Ebbene: anche le radiazioni generano DSB. La possibilità di sopportare alti livelli di radiazioni non è altro che una caratteristica fortuita, che deriva in realtà dall’esigenza di resistere all’essiccamento.

Un po’ come se io indossassi un cappellino rosa alla Timmy Turner di “Due Fantagenitori” per ripararmi dal sole durante la braciata di Ferragosto, per poi scoprire che quel cappellino mi dona la caratteristica di piacere a tutte le ragazze presenti alla braciata. 

A questo punto bisogna chiedersi:

Con quale meccanismo molecolare D.r. riesce a riparare i DSB, alias “danni al DNA”?

 La verità è che il D. radiodurans possiede più meccanismi per resistere ai danni causati dalle radiazioni o dall’essiccamento. Sebbene questi meccanismi siano ancora oggetto di indagine, possiamo elencare, tra i tanti, una serie di motivi principali:

Più copie del genoma

D.Radiodurans possiede dalle 4 alle 10 copie del proprio genoma, noi ne abbiamo solo 2. Immaginiamo di avere un danno ad un “gene fondamentale per la sopravvivenza”: anche se quel gene non dovesse più essere funzionante sul genoma 1, sarà ancora funzionante sul genoma numero 2, 3, 4 e così via. La probabilità che lo stesso danno si verifichi su tutti gli altri genomi è assai ridotta.  Questa ridondanza genica rende la cellula più resistente ai danni genetici, ma da sola non basta a spiegare la notevolissima resistenza di questo batterio, altri batteri possono avere fino a 100 copie del proprio genoma contemporaneamente ma non sono resistenti quanto D. r.

Genoma più condensato

D. radiodurans possiede un genoma fortemente compatto.
Si è notato che esiste una stretta correlazione positiva tra compattezza del genoma e resistenza alle radiazioni ionizzanti. 

Enzimi in grado di riparare direttamente i danni al DNA 

Questo è forse il punto più “hot” di questa lista.
Il nostro batterio super-resistente utilizza sia proteine ben conosciute e comuni anche ad altri organismi (come la RecA), sia delle nuove proteine che non erano note alla comunità scientifica prima della sua scoperta (DdrB, DdrC, DdrD, PprA, and DdrO) .
È stato dimostrato che tutte queste proteine sono in grado di legare il DNA e di contribuire presumibilmente alla sua riparazione, anche se il loro ruolo deve essere ancora chiarito da ulteriori studi.

Alta concentrazione di Mn(II) intracellulare

Radiazioni ionizzanti ed essiccamento, oltre a creare i sopracitati DSB , portano alla formazione dei ROS (Specie Reattive dell’Ossigeno, a volte chiamati radicali liberi). Si è notato che la carenza di Manganese (Mn(II)) porta le cellule a morire prima a seguito di un’esposizione a radiazioni ionizzanti. Complessi contenenti Mn(II) sembrerebbero in grado di neutralizzare i ROS e di compattare il DNA ( ritornando al punto 2) I ROS sono radicali liberi in grado di danneggiare pesantemente tutte le macromolecole biologiche, alterando o eliminando la loro funzionalità. 

Sebbene il macchinario riparatorio del D. radiodurans sia sicuramente più efficiente che in altri organismi (punto 3), l’ipotesi più probabile è che questo macchinario sia ben protetto dai danni dei ROS grazie all’azione dei complessi contenenti Manganese (punto 4). Cosa che in invece non accade negli altri organismi, in quanto il loro macchinario riparatorio viene messo fuori uso dai ROS generati dalle radiazioni ionizzanti, rendendoli incapaci di riparare i danni subiti al loro DNA.

Disclaimer: Ingerire molti integratori di manganese non vi farà diventare immuni alle radiazioni

Abbiamo quindi dimostrato come il nostro affascinante D. radiodurans non provenga dallo spazio, ma abbia avuto semplicemente la fortuna di sviluppare una straordinaria radioresistenza pur non essendo quello un suo “obiettivo evolutivo”.

Io nel dubbio corro a comprarmi un cappellino Rosa alla Timmy Turner.

Luca Leomazzi
23 anni, studente magistrale in bioinformatics all’università di Bologna. Amo il fitness, la Lazio e i gatti. Nel tempo libero cerco artisti sconosciuti su Spotify.