Tre nomi influenti nella storia della medicina
[Per gentile concessione dell’autrice]

Molti sono i nomi significativi di scienziati che hanno segnato, con le loro scoperte e intuizioni, vere e proprie pietre miliari nel mondo della Medicina, oggi ve ne presento tre.

IPPOCRATE (460-375 A.C)

Per aver avuto l’intuizione di associare l’osservazione dei segni clinici a conclusioni razionali, Ippocrate è considerato il padre della medicina occidentale. 

Uno dei fondamenti della medicina ippocratica è il principio di «forza curatrice naturale», che vede il corpo umano animato da una forza vitale tendente per natura a riequilibrare le disarmonie apportatrici di patologie. 

Secondo questa concezione, la malattia e la salute di una persona dipendono da circostanze insite nella persona stessa, non da agenti esterni o da superiori interventi divini. 

Egli fu anche il primo a studiare l’anatomia e la patologia, per farlo applicò la dissezione sui cadaveri. inventò la cartella clinica, teorizzò la necessità di osservare i pazienti prendendone in considerazione l’aspetto ed i sintomi e introdusse per primo i concetti di diagnosi e prognosi. 

Egli credeva, infatti, che solo la considerazione dello stile di vita del malato permetteva di comprendere e sconfiggere la malattia da cui era affetto. 

Ippocrate sostenne la “teoria umorale” : il nostro corpo sarebbe governato da quattro umori: (sangue, bile gialla, bile nera, flegma) ed essi condurrebbero alla salute (eucrasia) nel caso in cui siano in equilibrio, alla malattia nel caso opposto. 

Curiosità: Ancor’oggi alcune malattie portano il suo nome, come le dita ippocratiche, o a bacchetta di tamburo, e la faccia ippocratica, tipica delle condizioni di sofferenza e indebolimento, ad esempio nella peritonite.

IGNAC SEMMELWEIS (1818-1865) 

Il medico ungherese Ignàc Semmelweis divenne noto come il “salvatore delle madri” per i suoi importanti contributi allo studio delle trasmissioni batteriche da contatto e alla prevenzione della febbre puerperale. 

A quell’epoca una terribile malattia caratterizzata da dolore, malessere generale e febbre elevata, conosciuta come “febbre puerperale” decimava letteralmente le puerpere ricoverate negli ospedali viennesi, così come in altri ospedali europei ed americani. 

Semmelweis era ossessionato da queste morti così frequenti e continuava a praticare autopsie sui cadaveri delle donne riscontrando quadri anatomo-patologici sempre uguali. 

Ma la cosa che più lo disorientava era la constatazione che nel Padiglione II dello stesso ospedale, gestito non da medici ma esclusivamente da ostetriche, la mortalità per febbre puerperale era dieci volte più bassa. 

Egli ebbe la possibilità di studiare la cartella clinica di un collega morto dopo una breve malattia e notò che aveva lesioni simili a quelli delle donne morte per febbre puerperale e che qualche giorno prima si era ferito durante l’autopsia di una di queste donne. 

Gli fu chiaro che la febbre puerperale e la morte del collega erano la stessa cosa dal punto di vista patologico perché entrambe presentavano gli stessi cambiamenti anatomici. 

Se nel caso del professor Kolletschka i cambiamenti nella sepsi derivavano dall’inoculazione di particelle cadaveriche, allora la febbre puerperale doveva avere origine dalla stessa fonte. 

Ciò fu sufficiente a Semmelweis per giungere ad un’ipotesi, straordinaria per l’epoca: la febbre puerperale è una malattia che viene trasferita da un corpo all’altro a seguito del contatto che i medici e gli studenti presenti in reparto hanno prima con le donne decedute (su cui praticano autopsia) ed immediatamente dopo con le partorienti che vanno a visitare in corsia. 

Era una teoria sconvolgente per i tempi. 

Per dimostrarla il giovane Semmelweis mise in atto una banale disposizione: tutti coloro che entravano nel Padiglione I sarebbero stati obbligati a lavarsi le mani con una soluzione di cloruro di calce (ipoclorito di calcio). 

A questo aggiunse la disposizione che per tutte le partorienti si cambiassero le lenzuola sporche con altre pulite. I fatti gli diedero immediatamente ragione. Era il maggio 1847.

Al 3 posto, per cronologia ma non per importanza, un grande salto ai giorni nostri con un eroe moderno, che oggi più che mai mi preme ricordare.

CARLO URBANI (1956-2003)

Carlo Urbani è un medico marchigiano di 46 anni, specialista in malattie infettive e appassionato di medicina tropicale. 

Il 28 febbraio 2003 Carlo si trova ad Hanoi come specialista di malattie infettive presso il locale ufficio dell’OMS. 

In questa veste riceve una telefonata dall’Ospedale francese: due giorni prima, il 26 febbraio, avevano ricoverato un paziente cino-americano, Johnny Cheng, che presentava i segni di una pesante forma di polmonite atipica. 

Il paziente peggiorava rapidamente e aveva raccontato ai medici del suo precedente soggiorno a Hong Kong. Carlo visita il paziente e mette insieme i pezzi del puzzle. 

Chiama immediatamente Ginevra, il quartier generale dell’OMS. Da quando il paziente è arrivato nell’ospedale di Hanoi, nel giro di una settimana quattordici persone fra medici e infermieri si ammalano della stessa forma di polmonite. 

Immediatamente Ginevra allerta il centro di riferimento per i virus respiratori di Manila, nelle Filippine, e raccoglie tutte le informazioni utili da Hong Kong. 

Nel frattempo, il Canada evidenzia il focolaio di polmonite, partito nel grande Paese nordamericano subito dopo l’arrivo del paziente che aveva soggiornato nel famigerato corridoio del Metropole Hotel.

Insomma, grazie all’allarme lanciato da Carlo Urbani la comunità internazionale si allerta e parte la caccia al virus, nel tentativo di contenere l’epidemia. 

Contro l’epidemia vinceremo, ma purtroppo, il gesto di Carlo Urbani passerà alla storia come un atto eroico, perché lui stesso contrarrà il virus e morirà di SARS a Bangkok il 29 marzo 2003. 

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Margherita Capasso

Fonti e approfondimenti: