Io non vorrei fare la guastafeste, ma arrivati a questo punto qualcuno deve pur dirtelo: è meglio non accettare pane di segale dagli sconosciuti! E se vuoi sapere come ha fatto uno sfilatino impestato a dare il via a inedite epidemie di ergotismo, preparati: è una storia di santi e di panificatori, di funghi e di corna… Ma iniziamo dal principio.
Sant’Antonio e la segale cornuta
Qui, nel 1093, era tutta campagna. E si coltivava la segale (Lolium perenne). Questo cereale incarna le caratteristiche della vita rurale e, tra le Poacee (Graminacee), si caratterizza per la crescita lenta e l’alta resistenza al clima impietoso, due cose che fino a non troppo tempo fa rappresentavano elementi estremamente appetibili: non a caso era una delle colture più diffuse tra i popoli del Vecchio continente; seminata nei mesi freddi, la si mieteva dopo un anno e se ne ricavava una farina rustica da far invidia al miglior preparato pronto per pane… che soddisfazione!
Almeno fino a quando non ti cadevano le dita. Letteralmente.
Il fuoco sacro
Il nobile francese Gaston di Valloire, uomo devoto, si era accorto della necessità di dare conforto agli affetti dal sinistro morbo che flagellava l’Europa e che rendeva infermi e adattili i suoi abitanti. Fondò così i Fratelli Ospedalieri di Sant’Antonio e avviò la costruzione dell’ospedale-abbazia deputato all’accoglienza dei fedeli colpiti dal nefasto destino. Così facendo legittimò il nome con cui si riconosceva comunemente la piaga: Fuoco di Sant’Antonio [1].
Il Fuoco di Sant’Antonio è un eponimo che non ha bisogno di lunghe presentazioni: è, per le patologie cutanee, un termine-ombrello che si dà(va) a diverse malattie della pelle caratterizzate da vescicole e croste, ma soprattutto da una terribile sensazione di bruciore. Sotto questo nome ritroviamo il morbo misterioso medievale, ma anche la manifestazione tipo zoster dell’infezione da virus della varicella e l’erisipela da batteri piogeni. Nello specifico caso del sacer ignis protagonista non richiesto del secondo millennio, il “fuoco” degli affetti si riconduceva alla sensazione di dolore urente che spesso veniva avvertita alle estremità colpite: la disestesia precede e accompagna le lesioni cutanee che possono, se non trattate, degenerare in gangrena e necrosi. E, per non farci mancare niente, portare l’infermo a morte[1].
Anche se non siamo a conoscenza del numero preciso di vittime mietute nel corso dei secoli dal Fuoco di Sant’Antonio, abbiamo notizia del fatto che ogni ondata poteva coinvolgere milioni di persone. Questa elevatissima incidenza la rendeva una delle patologie a più elevata morbilità e mortalità per l’epoca[2]: le misteriose epidemie di Fuoco di Sant’Antonio colpivano ciclicamente la popolazione e lasciavano al loro passaggio migliaia di persone non più capaci di provvedere a sé e alla propria famiglia. I racconti agghiaccianti avevano dato il via ad incessanti pellegrinaggi verso i luoghi dedicati alla loro cura, tra cui l’ospedale-abbazia di Valloire, dove, come bonus, ci si poteva pentire dei propri peccati.
La formula, rodata, era semplice e efficace:
«[…] Nel Medioevo l’approccio psicologico e pratico alla cura delle malattie prese corpo quale particolare insieme di ortodossia cristiana, superstizione e testi medici greco-romani […].»Horgan J., tradotto da Mauro A. V. [2]
Per ricevere le cure sotto l’egida del Santo, dopo un’attesa di sette lunghi giorni, i superstiti – che se l’erano fatta a piedi o a dorso di mulo perché molto spesso erano povera gente – avevano la possibilità di accedere a cibo notevolmente più sano di quello a cui erano abituati e a un’attenta medicazione delle parti colpite dal fuoco sacro. Ovviamente all’epoca non si sapeva cosa causasse il morbo – a parte l’essere peccatori, ovviamente: le malattie, si diceva, erano il risultato dell’azione del peccato sull’equilibrio dei quattro umori, i quattro fluidi vitali che definivano la vita.
Ma oggi sì: sappiamo cosa determina il Fuoco di Sant’Antonio e chiamiamo questo quadro clinico con il nome di ergotismo o intossicazione da ergot [1].
Claviceps purpurea, l’agente eziologico dell’ergotismo
Per un ergotismo coi fiocchi è sufficiente ingerire dei cibi preparati con segale o farina di segale contaminata da un ascomicete, un fungo parassita di diverse piante: Claviceps purpurea. La Claviceps può infestare molti cereali ma la segale è quella che presenta una maggiore probabilità di esserne affetta: questa eventualità risulta estremamente frequente (in un campo lasciato senza concianti) grazie al sincronismo tra il ciclo vitale del fungo e quello della segale, complice l’esposizione ad inverni freddi e umidi ed a primavere altrettanto umide; anche la caratteristica della L. perenne di dipendere particolarmente dell’impollinazione crociata pare essere un determinante fondamentale per l’infestazione.
Il risultato? Un incubo fatto grano che prende il nome di Segale cornuta [3].
L’aggettivo cornuta non fa riferimento agli improperi lanciati in balia dei dolori infernali che scatena – anche se, se lo avessero saputo, sono certa che i medievali non si sarebbero risparmiati – ma agli speroni a forma di uncino leggermente ricurvo che rappresentano i corpi fruttiferi del fungo parassita. Sono proprio questi cornutissimi ammennicoli a contenere le molecole responsabili delle manifestazioni cliniche dell’ergotismo [3].
Guai ad addentare il panino sbagliato
La storia dell’Europa è inestricabilmente connessa a quella della segale e della segale cornuta: la mitologia dei popoli teutonici riservava un posto d’onore alla forza generatrice che si diceva abitasse i campi donando ai raccolti gli speroni, suoi figli. Nonostante la nostra secolare coabitazione con il simpatico ascomicete, la prima inequivocabile descrizione del fungo e dei suoi effetti si deve ad Adam Lonitzer, nel 1582. Attendemmo però il 1700 per le ipotesi riguardo la natura della C. purpurea [1] e un secolo e mezzo dopo, finalmente, Louis René Tulasne ne descrisse il ciclo vitale [4].
Oggi l’ergotismo non si manifesta più a ondate epidemiche, ma in singoli e sporadici casi da avvelenamento. Un tempo, però… beh, un tempo, la storia era diversa: la contaminazione accidentale, il consumo intenzionale quando non c’era altro cibo (ma anche il menefreghismo da parte di mugnai e panificatori che non andavano troppo per il sottile) e l’assunzione volontaria per ricercarne gli effetti farmacologici, erano i motivi sottostanti gli exploit delle due forme di ergotismo clinico che falcidiavano l’Europa post-Impero romano [1].
- L’ergotismo a prevalente manifestazione neurologica, molto frequente a est del Reno e tipico dell’area che si estende fino agli Urali e alla penisola ellenica; si caratterizzava per vertigini, mal di testa e allucinazioni, spasmi e convulsioni.
- L’ergotismo a prevalente manifestazione gangrenosa, a ovest del fiume Reno e diffuso nei territori francesi; era proprio per combattere questa forma che il buon di Valloire aveva eretto l’ospedale-abbazia. La presentazione clinica della forma gangrenosa prevedeva dolore agli arti, secchezza della cute e desquamazione localizzata, manifestazioni di vasocostrizione del circolo sanguigno, edema, necrosi e cancrena che, se mal curata – e spesso era mal curata – procedeva con la perdita di interi segmenti corporei.
Non è certo, ad oggi, quale sia il motivo alla base di una così netta distribuzione geografica delle due forme di ergotismo (che possono in alcuni casi coesistere): alcuni autori ritengono sia da ricercare nella quantità e nel tempo di assunzione delle tossine; ad una dieta (leggermente) più varia dei popoli teutonici corrispondeva una minor ingestione di segale contaminata e manifestazioni psichedeliche invece che gangrenose. Altri studiosi fanno risalire i differenti quadri clinici a un concomitante status vitaminico carenziale: in presenza di quadri di vitamina A e D-penici si slatentizzavano gli epifenomeni neurologici.
Sia come sia, è estremamente probabile che alla base di entrambe le presentazioni cliniche di ergotismo ci siano i medesimi composti tossici [5].
L’LSD prima dell’LSD
Quando i colonizzatori sbarcarono nel Nuovo Mondo, portarono con sé le nude forze, i pochi beni che possedevano, ma anche le credenze dei loro padri. Non sorprende quindi che, assieme all’aratro pesante e all’influenza, in America si radicò anche l’idea che è sempre meglio togliere di torno una strega piuttosto che vederla svolazzare su una scopa nelle notti di luna piena.
L’accanimento nei confronti di donne accusate di stregoneria raggiunse nel milleseicento il culmine in quello che ancora oggi rappresenta uno dei processi più iconici della storia: la Caccia alle Streghe di Salem. Gli storici stanno dibattendo per comprendere quale sia il reale movente alla base dell’accusa di stregoneria avanzata ad alcune donne del villaggio: una delle teorie che potrebbe spiegare la serie di comportamenti anomali dei pellegrini che hanno avvisato l’inquisizione risiede proprio nell’assunzione di sostanze psichedeliche prodotte dai corpi fruttiferi della Claviceps. Dopotutto le manifestazioni neurologiche dell’ergotismo vantano un ventaglio di sintomi piuttosto variegato, tra cui la disfunzionenervosa e le allucinazioni, di cui si incolpavano le fattucchiere [6]: Un’ipotesi interessante dato che nel villaggio di Salem, con tutta probabilità, si mangiava pane di segale!
La storia dell’Ergotismo e di quella grandissima cornuta di una segale
L’idea che le baguette allucinogene siano state gli strumenti delle streghe è stata recentemente avanzata da Caporeal nel suo articolo pubblicato sulla prestigiosa Science [7]; l’ipotesi, tuttavia, non è abbracciata da altri studiosi, Gottlieb e soprattutto da Spanos, che hanno sottolineato a più riprese il fatto che i documenti storici e i sintomi clinici riportati non possano suggerire in modo univoco questa conclusione [8,9].
Tra chi suggerisce che gli accusatori di Salem potessero essere spinti da fattori sociali (gelosia, tra tutti, dispetto o bisogno di attenzione) e chi non esclude che i comportamenti dei malcapitati potessero essere riconducibili alla segale impestata, non si può negare che ci sia una linea sottile tra ergotismo ed impiego medicinale della segale cornuta. Che usiamo almeno dal 1500 [1]: riconosciuta l’azione ossitocica, i preparati a base di ergot sono stati utilizzati per fermare la lattazione, indurre l’aborto o accelerare il travaglio [10,11]. Tutto ciò è in gran parte riconducibile alla frazione alcaloide dell’ascomicete, che entrò, col tempo, a pieno titolo nella farmacopea degli Stati Uniti e di molte nazioni europee, Italia inclusa [10].
Lo disse Paracelso…
Non è ancora chiaro il ruolo ecologico rivestito dalla Clavicepspurpurea ma nell’uomo il meccanismo che scatena l’ergotismo sembra derivare dall’interazione degli alcaloidi con i recettori per la serotonina, la dopamina e l’adrenalina. Determinando la contrazione della muscolatura involontaria di organi interni e vasi sanguigni, generano un quadro di ipossia che avvia la cancrena “secca”. Le convulsioni e le allucinazioni, tipiche della forma neurologica, sono invece dovute all’effetto psichedelico simile a quello scatenato dall’LSD [1].
Oggi le dolorose ondate epidemiche sono parte del nostro passato ma piccoli misteriosi focolai e casi isolati si sono protratti nel 1900 nelle aree in cui era diffuso l’uso della segale cornuta da parte delle ostetriche e delle levatrici per indurre il travaglio e l’aborto [10]. Questa eredità medica si è evoluta in terapie oggi approvate per trattare, tra gli altri, il morbo di Parkinson e i sintomi della demenza [12].
Stai a vedere che Paracelso ha sempre e comunque ragione? È proprio vero che è la dose a fare il veleno.
«[…] Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit.[…].», Paracelso [13]
Ma anche la segale, se ci si mette, può essere una grandissima cornuta!
Mila
Bibliografia e sitografia
[1] Lee M. R. (2009). The history of ergot of rye (Claviceps purpurea) I: from antiquity to 1900. The journal of the Royal College of Physicians of Edinburgh, 39(2), 179–184.
[2] Horgan J. (2020, luglio 17). Il fuoco di Sant’Antonio [St. Anthony’s Fire]. (A. V. Mauro, Traduttore). World History Encyclopedia. Estratto da https://www.worldhistory.org/trans/it/1-19015/il-fuoco-di-santantonio/ (consultato il 24 aprile 2022).
[3] Tudzynski P. and Scheffer J. (2004). Claviceps purpurea: molecular aspects of a unique pathogenic lifestyle. Molecular Plant Pathology, 5: 377-388.
[4] Tulasne L.R. (1853). Mémoire sur l’ergot des glumacées. Ann. Sci. Nat (Partie Bot.), 20, 5–56.
[5] Mellanby E., Surie E., Harrison D.C. (1929). Vitamin D in ergot. Biochem J, 23:710–6.
[6] Woolf A. (2000). Witchcraft or Mycotoxin? The Salem Witch Trials. Clinical Toxicology, 38 (4): 457-60, (July 2000).
[7] Caporael L. R. (1976). Ergotism: The Satan Loosed in Salem? Science, 192
[8] Spanos N. P. Gottlieb, J. (1976). Ergotism and the Salem Village witch trials. Science 24; 194 (4272): 1390-1394.
[9] Spanos N. P. (1983). Ergotism and the Salem witch panic: a critical analysis and an alternative conceptualization. Journal of the History of the Behavioral Sciences, 19 (4): 358-369.
[10] Lee MR. (2009) The history of ergot of rye (Claviceps purpurea) II: from
1900 to 1940. J R Coll Physicians Edinb 2009; 39:365–9
[11] 15 Stearns J. Account of the pulvis parturiens, a remedy for quickening childbirth. Medical Repository of New York 1808; 5:308–9.
[12] https://www.aifa.gov.it/documents/20142/241044/Bromcriptine_Public_Health_Communication_IT_Final.pdf
[13] Paracelso, Responsio ad quasdam accusationes & calumnias suorum aemulorum et obtrectatorum. Defensio III. Descriptionis & designationis nouorum Receptorum.