A trent’anni dalla legge che mette al bando l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti d’amianto o di prodotti contenenti amianto, con quest’ultimo articolo cerchiamo di capire che fare delle strutture e di tutti gli oggetti in amianto accumulati ed usati negli anni.
Una volta appurato analiticamente la presenza di amianto, bisogna ricercare la strategia migliore per agire – e non sempre la bonifica è la strada più scontata.
Una prima considerazione da fare necessariamente è la distinzione tra due stati dell’amianto, friabile e compatto, con pericolosità differenti per noi. Osserviamone più da vicino le differenze.
- Amianto friabile: amianto non legato in una matrice solida; può essere ridotto in polvere con una leggera pressione delle dita. È particolarmente pericoloso perché è, quasi sempre, amianto puro, e le fibre possono disperdersi facilmente nell’ambiente ed essere inalate. Dove lo si trova? Nelle vernici, nei mastici, in sistemi di isolamento termico e/o acustico, nelle porte tagliafuoco…
[Operazione di bonifica di amianto friabile]
- Amianto compatto: amianto legato in una matrice solida compatta, come il cemento. La sua pericolosità dipende dallo stato di conservazione del prodotto in amianto: se danneggiato, allora la probabilità di dispersione delle fibre può essere alta; se il materiale è in buone condizioni non c’è motivo di allarmarsi perché la probabilità di dispersione delle fibre è bassa. L’Eternit di cui si è sentito parlare – e ancora se ne sentirà – appartiene a questa definizione.
[Scultura in eternit. Fonte: Wikimedia commons]
[Copertura in cemento-amianto]
Nei materiali di tipo Eternit è cruciale controllare lo stato di conservazione. Una struttura in buono stato ha una scarsa probabilità di rilasciare fibre e, quindi, un rischio di contaminazione basso. La si tiene in osservazione periodicamente, stilando un programma di manutenzione e controllo.
Di contro, nel caso di amianto friabile e per materiali rovinati dal tempo e dall’usura che, quindi, hanno una più alta probabilità di rilascio, si consiglia la bonifica.
Sì, ma che significa?
Al momento, le tecniche di bonifica maggiormente usate sono: il confinamento, che ha l’obiettivo di isolare l’oggetto o la zona in cui c’è l’amianto con la creazione di una barriera che lo separi da tutto il resto; l’incapsulamento conservativo, con vernici che inglobano e inertizzano le fibre per evitarne la dispersione; infine, la rimozione dei materiali contenenti amianto (che avviene con tecniche e modalità differenti nel caso di friabile o di compatto) con successivo trasporto in discarica.
L’installazione di una zona confinata è il primo step per la bonifica di amianto friabile proprio per la sua altissima capacità di rilascio delle fibre.
Prima della rimozione, in entrambi i casi, vengono applicati prodotti a base di resine epossidiche che hanno il compito di intrappolare le fibre di amianto, per evitare che queste si liberino nell’ambiente circostante.
La ricerca scientifica, però, non si ferma, anche quando si tratta di un minerale vecchio, utilizzato fino allo stremo e ormai in declino – almeno in Europa.
L’attenzione verso l’amianto, infatti, resta alta: si stanno sviluppando nuove modalità di smaltimento che puntano alla riduzione dei rifiuti e del numero di discariche presenti nel territorio e al riutilizzo dei materiali, in perfetta linea con i principi di economia circolare. Una di queste è l’inertizzazione delle fibre di amianto per poterle riutilizzare e reimmettere nel ciclo produttivo di nuovi materiali. Si sta pensando, infatti, di trattare le fibre di amianto nel siero di latte a temperatura elevata: questo metodo – sviluppato in collaborazione con l’Università di Bologna – prevede di immergere il cemento-amianto nel siero del latte ed avere la certezza di evitare qualunque dispersione accidentale; a questo punto, l’acidità dei prodotti del metabolismo del Lactobacillus casei presenti nel siero del latte comporta la decomposizione della parte cementizia e, infine, le fibre d’amianto liberate vengono trattate – sempre nel siero – ad una temperatura di 180°C; questo ne comporta la denaturazione e la decomposizione in silicati e ioni di magnesio.
I ricercatori che hanno messo a punto questo metodo affermano di poter ottenere – tra le altre cose – 40 kg di magnesio, difficilmente reperibile e ad alto costo, e 200 kg di anidride carbonica, da poter essere immessa nel mercato, partendo da una tonnellata di cemento-amianto.
Un’altra tecnica che sta prendendo piede è la vetrificazione delle fibre, una tecnica che consiste nel sottoporre i materiali contenenti amianto a temperature maggiori di 1000 °C con l’obiettivo di far collassare la struttura fibrosa e generare un materiale siliceo inerte. Questo trattamento distrugge, in sostanza, le fibre.
A quanto pare, la relazione d’amore tormentata tra l’uomo e l’amianto non sembra essere destinata a finire.
A trent’anni dalla legge che ne vieta l’uso, l’amianto continua ad essere al centro della scena sia con la sua presenza sia con le conseguenze del suo utilizzo spropositato. Quello che possiamo fare adesso è solo provare a riparare i danni.
Francesca A. Frassino
Fonti:
· Vita M., Giordano F.; La tutela dell’ambiente dalla contaminazione da amianto. Lamisco (1998)
· https://www.pellicanoverde.it/
· https://www.eticoscienza.it/2020/10/25/amianto-bello-e-dannato/
· https://www.filieraamianto.it/il-progetto-amianto-del-cnr-iia/
· https://www.lebsc.it/wp-content/uploads/LEBSC_premio_StartUP-innovativa-2015.pdf
· https://ambienterifiuti.wordpress.com/2015/01/20/smaltire-lamianto-con-il-siero-di-latte/