E così De Crescenzo si presentò a sua sorella
[di Augusto de Luca, Wikipedia]

A pochi giorni dalla morte dello scrittore siciliano Andrea Camilleri, papà del commissario Montalbano, che già aveva scosso il panorama artistico e culturale italiano, ha fatto seguito un altro duro colpo, la scomparsa di Luciano De Crescenzo.

Nato nel 1928, svolse la professione di ingegnere prima di diventare noto al pubblico italiano per la sua vocazione di scrittore.

Narratore versatile, romanziere e amante della scrittura, il suo amore per la grecità risuona in tutti i suoi saggi in modo così forte che Atene gli diede la cittadinanza onoraria. Ma il suo carisma non si fermava alle pagine e alla rara virtù di guidare in modo fluido anche i meno ferrati nei più reconditi meandri dei più svariati argomenti, tanto che divenne uno scrittore di fama internazionale.

La sua indole eclettica e il suo spirito teatrale lo hanno portato sul grande e sul piccolo schermo: regista, sceneggiatore e attore, vincitore di due David di Donatello, tra i tanti prestigiosi premi letterari e cinematografici. La sua personalità umoristica e la semplicità con cui riusciva a sviscerare gli argomenti più complessi lo hanno contraddistinto e reso famoso alla platea di lettori, cinefili e telespettatori italiani. Umile come pochi, nella sua Storia della filosofia medievale, scrisse: “Credo di essere una di quelle scalette con soli tre gradini, che si trovano nelle biblioteche e che consentono di prendere i libri dagli scaffali che stanno più in alto”. [1]

Il suo umorismo non si è spento nemmeno quando ha confessato di essere affetto da prosopagnosia, termine coniato dal greco, che sta ad indicare un deficit cognitivo che consiste nel non saper riconoscere i volti. Nelle sue interviste degli ultimi anni parlava, con l’ironia che lo contraddistingueva, proprio della difficoltà nel riconoscere i lineamenti delle persone con cui aveva a che fare e delle gaffe nei contesti sociali. Come quella volta che si era presentato a sua sorella! [2]

La questione solleva una tematica complessa: come facciamo a riconoscere i volti? Ci sono attualmente varie teorie, perché la capacità di riconoscere volti sembra essere isolata dalle altre capacità percettive.
Nel 1986, Bruce & Young (due celebri neuropsicologi) teorizzarono un modello secondo il quale il riconoscimento del volto avverrebbe attraverso una gerarchia ben precisa. [3]

Il primo step, chiamato Structural Encoding (codifica strutturale) consisterebbe nel riconoscimento di tratti somatici differenti, specifici, così da poter distinguere un viso nella sua unicità differenziandolo dagli altri.
Il secondo stadio è il Face Recognition Units, FRUs, l’unità di riconoscimento del volto. Qui risiede la familiarità del volto, nel quale a colpo d’occhio riusciamo a riconoscere un volto noto da uno sconosciuto.

Nel terzo momento, dal volto si passa all’interezza del soggetto: non a caso è chiamato Person Identity Nodes, nodi dell’identità della persona. In questa fase si ricavano informazioni relative al soggetto: professione, hobby, passioni… Tutto ciò che lo riguarda sotto il profilo contenutistico.

Infine c’è la generazione del nome, Name Generation, che è memorizzato in modo distaccato dal resto delle informazioni.

Questo modello ha subìto sviluppi più o meno importanti, ma è fondamentale perché mette in risalto la specificità dell’informazione del volto rispetto a qualunque altra informazione, come parole e oggetti.

Zona colpita dalla degenerazione quando si presenta il disturbo della prosopagnosia, il giro fusiforme [Polygon data were generated by Database Center for Life Science(DBCLS). CC BY-SA 2.1. Wikipedia]

Nonostante la difficoltà a riconoscere i volti dal punto di vista cosciente, la curiosità della prosopagnosia è che i volti familiari stimolano risposte emotive. [4]

Spostandoci su un piano più leggero e con le dovute distinzioni, a chi non è particolarmente fisionomista la sensazione che provava De Crescenzo, e che provano coloro che sono affetti da prosopagnosia, potrebbe essere familiare. Pensate a quante volte ci siamo ritrovati nel peggiore imbarazzo parlando con qualcuno, certi di conoscerlo, ma senza ricordarci minimamente chi fosse o come si chiamasse.

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R. Matteo D’Angelo
di Ortona (CH). Animalista, appassionato di filosofia e psicologia e studioso di entrambe, da qualche anno sto tastando il terreno della comunicazione online e cartacea tentando di inclinare il piano verso i contenuti e la sostanza.

Bibliografia:

  1. Luciano De Crescenzo, Storia della filosofia medievale, Milano, Arnoldo     Mondadori Editore, 2002, pp. 10-11;
  2. https://www.ok-salute.it/benessere/luciano-de-crescenzo-non-riconosco-piu-le-facce/;
  3. https://onlinelibrary.wiley.com/doi/pdf/10.1111/j.2044-8295.1986.tb02199.x;
  4. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/6483172?dopt=Abstract.