I nostri cugini provano a curare (e a curarsi) applicando insetti sulle ferite
Immaginate di essere un volontario nel parco nazionale di Loango, in Gabon, Africa centro-occidentale. La ragione che vi ci ha portati è la passione per la scimmia antropomorfa per antonomasia: lo scimpanzè.
Avete colto la palla al balzo, perché un’università tedesca si è stabilita lì per studiarne il comportamento.
Come se non fosse già abbastanza straordinario trovarvi a osservare queste creature, un giorno, mentre ne filmate alcuni individui, notate qualcosa di particolare: una scimpanzè adulta guarda insistentemente il piede ferito del figlio, poi porta qualcosa tra le labbra e lo appoggia sulla ferita (trovate qui il video).
Il fatto vi incuriosisce, per cui guardate con attenzione la ripresa: l’oggetto in questione è un insetto, che l’animale ha preso, ha strizzato tra le labbra e poi ha applicato alla ferita del figlio. Una volta mostrato il video ai ricercatori, si ritiene l’osservazione degna di nota, per cui nei successivi quindici mesi tutto il gruppo di ricerca si mette all’opera focalizzando l’attenzione su eventi simili.
INSETTI MEDICINALI?
I casi documentati sono poco più di una ventina, molti dei quali seguono sempre la stessa melodia iniziale: un animale prende un insetto al volo, lo strizza tra le labbra o tra le mani e poi lo applica su una ferita.
L’ipotesi è che gli insetti presi dagli animali abbiano proprietà medicinali o antidolorifiche.
Purtroppo per ora i dati a disposizione sono troppo pochi per poter definire anche solo le specie utilizzate dagli scimpanzé, a causa della difficoltà nel riconoscere un essere tanto piccolo in un’osservazione compiuta a debita distanza per non disturbare gli animali. Si può parlare, in linea di massima, di insetti sottili, alati e dal corpo scuro.
L’AUTOMEDICAZIONE, QUESTA CONOSCIUTA
La maggior parte delle osservazioni (19) riguarda casi di automedicazione, cioè l’animale strofina un insetto sulla propria ferita. Per quanto l’uso di insetti sia particolare, il fatto in sé non stupisce poi così tanto: la medicazione o la prevenzione delle infezioni è stata infatti ampiamente documentata nel regno animale e spazia tra specie diversissime.
Tanto per proporre qualcosa di diverso dai primati (i casi sono innumerevoli) possiamo citare gli elefanti, che ricercano un particolare tipo di argilla per proteggersi dalle tossine ingerite, o gli uccelli, che costruiscono il nido con foglie medicinali per tutelare la salute dei futuri pulcini. Recenti osservazioni coinvolgono anche i rettili: una lucertolina indiana Calotes versicolor, ferita e in sofferenza, è rimasta per svariate ore sulle foglie della pianta Ocimum sanctum, mostrando infine parametri fisiologici migliori. Non è un caso che questa pianta, detta basilico sacro, sia nota in India per le sue proprietà analgesiche e antisettiche.
Qualcosa di simile all’automedicazione si trova persino negli insetti, che scelgono piante contenenti sostanze antibatteriche o disinfettanti per deporre le loro uova e proteggerle da infezioni e parassiti (e chi ha un’infarinatura di genetica sarà felice di sapere che il suo paladino, Drosophila melanogaster, è tra questi accorti artropodi).
Torniamo però ai nostri amici scimpanzé, in fondo si stava parlando di loro.
Nel corso degli anni sono stati osservati molti individui usare delle foglie di piante medicinali su ferite, o masticare delle radici amare il cui valore nutritivo è nullo. Per un animale è inutile mangiare qualcosa che non dà nutrienti e lo studio di queste piante ha in effetti mostrato proprietà antibatteriche, probabilmente usate per trattare malesseri intestinali.
UN PUNTO IN PIÙ PER IL COMPORTAMENTO PROSOCIALE
Ma allora, cosa colpisce fin da subito dell’osservazione in Gabon?
La risposta è sita in altre tre osservazioni del gruppo di ricerca, sparse nell’arco dei quindici mesi. In questi casi, compresa la prima osservazione con cui abbiamo iniziato la nostra storia, non si parla più di automedicazione: uno scimpanzé decide di aiutare un altro individuo, senza che niente gli venga dato in cambio. Comportamenti simili sono detti prosociali.
Negli esseri umani queste azioni sono generate dall’empatia, ma a livello di biologia evoluzionistica la loro origine è un mistero. Perché favorire altri individui, in un mondo dove la selezione non perdona, sembra vagamente un controsenso.
Gli scimpanzé appaiono candidati perfetti per provare a capire tale evoluzione, dato che molte loro azioni (la caccia, le aggressioni fra gruppi ecc.) mostrano cooperazione, vale a dire un’ottima base da cui sviluppare comportamenti prosociali. Tuttavia, al momento le osservazioni riguardanti azioni “altruistiche” sono controverse: accanto ad esempi che fanno ben pensare, ce ne sono molti altri che spingono verso una totale mancanza di empatia scimmiesca. Come risultato, gli esperti non riescono a capire dove penda la bilancia.
Le osservazioni compiute nel parco di Loango aggiungono nuove carte al mazzo, suggerendo un timidissimo passo verso comportamenti empatici in questi animali e alimentando il dibattito sulla questione. Per fortuna, almeno in campo scientifico, discutere è considerato cosa buona.
ANCORA UNA VOLTA, L’IMPORTANZA DELLA CONSERVAZIONE
Le osservazioni in Gabon promettono materiale per parecchi studi futuri sugli scimpanzé: come il probabile sviluppo di comportamento prosociale, l’utilizzo di insetti come “medicine”, i comportamenti che riguardano la cura delle ferite. Resta anche da chiarire se ciò che è stato osservato in questa comunità è applicabile per tutta la specie, o se sia limitato al gruppo in questione. E poi, come si è diffuso tra gli individui? Qualcuno lo ha “inventato” e poi gli altri lo hanno imitato? Come può avvenire l’apprendimento di azioni simili?
Insomma, un sacco di stimolanti questioni aperte. Deschner, il primatologo tedesco a capo del progetto, afferma di rimanere sempre affascinato da questi animali, capaci di stupire ancora anche dopo decenni di osservazioni. Motivo in più per proteggerli dal grave rischio di estinzione in cui versano, soprattutto a causa della riduzione dell’habitat e del bracconaggio.
Perdere l’occasione di osservare questi animali in natura sarebbe un danno enorme. Per questo, sottolinea Deschner: “Sono necessari ancora più sforzi per proteggerli nel loro habitat”.
Aurora Colangelo
Etologa (no, non quella del vino) alla perenne ricerca di nuove storie, di qualcuno a cui raccontarle e di tutti gli animali visibili lungo il percorso.
FONTI:
- https://www.cell.com/current-biology/fulltext/S0960-9822(21)01732-2
- https://www.eurekalert.org/news-releases/941857
- https://www.eurekalert.org/news-releases/942193
- https://www.cambridge.org/core/services/aop-cambridge-core/content/view/7F3DFBB1BEE144895048E04F0613E038/S0029665103000521a.pdf/animal-self-medication-and-ethno-medicine-exploration-and-exploitation-of-the-medicinal-properties-of-plants.pdf
- https://www.researchgate.net/profile/Thierry-Lefevre-3/publication/236196965_Self-Medication_in_Animals/links/00b49530f14d70a90b000000/Self-Medication-in-Animals.pdf
- https://www.researchgate.net/profile/Ashok-Verma-20/publication/342625122_A_study_on_the_role_of_holy_basil_Ocimum_sanctum_in_auto-healing_of_Indian_garden_lizard_Calotes_versicolor/links/5efd9b4d4585155050849ce6/A-study-on-the-role-of-holy-basil-Ocimum-sanctum-in-auto-healing-of-Indian-garden-lizard-Calotes-versicolor.pdf