Vajont e il rischio idroelettrico


Dal Vajont a oggi

Nelle ultime settimane si è tornato a parlare del disastro del Vajont. Il 9 ottobre 1963 una frana di quasi 300.000 metri cubi di roccia si staccò dal monte Toc, scivolando a una velocità di 110 km/h all’interno del bacino creato dalla nuova diga sul torrente Vajont. L’acqua venne espulsa in pochi istanti, inondò le rive e scavalcò lo sbarramento. La valle sottostante fu spazzata da un’enorme onda che portò via Longarone e gli abitati limitrofi, prima di riversarsi sul Piave. Circa 2000 persone persero la vita quella notte.

L’invaso doveva servire da serbatoio di regolazione per un sistema di centrali idroelettriche. Purtroppo, in fase di progettazione, si sottostimò l’effetto dell’acqua sul pendio della montagna, instabile per ragioni morfologiche e, quindi, a rischio idrogeologico. Questo, insieme ad una serie di altri errori decisionali, provocò il disastro.

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[Foto 1: l’invaso del Vajont coperto dall’enorme frana dopo il disastro, di Venet01 – Opera propria, CC BY-SA 4.0]

Quella del Vajont non fu l’unica diga per produzione idroelettrica a crollare in Italia nel secolo scorso. Si ricordano, tra gli altri, i disastri del Gleno e dell’Ortiglietto che causarono centinaia di morti.

La più grande catastrofe artificiale legata all’idroelettrico avvenne in Cina nel 1975. Al passaggio del ciclone Nina, collassò la diga di Banqiao a causa di un sottodimensionamento del meccanismo di scarico. L’enorme quantità d’acqua si riversò su un sistema di dighe sottostanti, facendole collassare una dopo l’altra, come in un domino. Alcune furono abbattute dall’esercito cinese con l’intento di mitigare la piena. Un’onda larga 10 km spazzò la valle sottostante, portandosi via 6 milioni di abitazioni e la vita di 26.000 persone. Gli sfollati furono 1 milione. Nei mesi successivi, 150.000 persone morirono di stenti a causa della carestia e delle epidemie.

Negli ultimi dieci anni nel mondo sono avvenute ancora decine di incidenti su strutture e impianti costruiti per produrre energia idroelettrica, dal Brasile agli Stati Uniti, dall’Africa all’Europa. Uno degli episodi recenti riguarda la distruzione della diga di Nova Kakhovka, in Ucraina, che ha causato un numero imprecisato di morti e una grave emergenza umanitaria e ambientale.


Rinnovabile ma poco sicura

L’idroelettrico è una fonte energetica rinnovabile e sostenibile. Rispetto ad altre rinnovabili soffre meno di aleatorietà. Inoltre, garantisce grandi accumuli di energia potenziale, tramite il pompaggio dell’acqua da valle a monte, che può essere riconvertita in elettrica quando serve. Per queste ragioni, a differenza di eolico e solare, è in grado di garantire una produzione pressoché stabile e adattabile alle necessità. Avevamo spiegato i vantaggi e gli svantaggi principali delle fonti energetiche in questo articolo.

Tuttavia, risulta essere poco sicura. Quasi tutte le perdite in termini di vite umane, dovute a incidenti nella produzione di energia low carbon, sono ascrivibili all’idroelettrico. Si parla di percentuali superiori al 95%, nonostante il numero di eventi disastrosi sia contenuto. 

Considerando gli incidenti, l’inquinamento e l’emissione di gas serra, l’idroelettrico è la fonte energetica sostenibile che produce più vittime umane in relazione all’energia prodotta: 13 morti ogni 10 Twh. Per confronto le principali fonti low carbon (nucleare, solare, eolico) provocano tra le 2 e le 4 morti ogni 100Twh.

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[Grafica dell’autore su base dati: Our World in Data


Valutare il rischio

Alla luce di questi dati si può affermare che l’energia idroelettrica è quella che produce più perdite in termini di vite umane, dopo le fonti fossili. 

Ma perché questa fonte è ritenuta così rischiosa?

Per valutarlo occorre definire il concetto di rischio e scinderlo in due componenti principali: la consistenza della perdita (chiamata danno, magnitudo, pericolo, a seconda dell’ambito di applicazione) e la probabilità che questa perdita avvenga.

Posso affermare, senza paura di essere smentito, che battermi a mani nude con un Tirannosauro è molto pericoloso perché in un istante quello mi sbrana la testa. La perdita, quindi, è molto alta. Ma il Tirannosauro è estinto perciò la probabilità che la perdita avvenga è prossima allo zero. 

Per conoscere il rischio di essere divorato devo moltiplicare la perdita per la sua probabilità. È questo il motivo per cui ho l’assoluta certezza che non morirò tra le fauci di un Tirannosauro. Il rischio è prossimo allo zero. 


Dighe rischiose

Lo stesso discorso si può fare per un’opera ingegneristica. In generale, si può vedere il rischio come il prodotto di alcuni fattori: la propensione di un individuo a subire un danno a seguito di un evento catastrofico, il numero di persone esposte a tale evento e la probabilità che esso avvenga.

Prendiamo il caso dell’energia idroelettrica. Per poterla sfruttare occorre avere dei bacini artificiali di raccolta posti a una certa altitudine, tipicamente generati da una diga. In questi serbatoi è concentrata un’enorme quantità di energia potenziale idraulica che, se liberata, non lascerebbe scampo a una persona o una costruzione di qualunque tipo che si trovasse sul suo percorso.

A questo ci possiamo aggiungere che, sempre tipicamente, gli insediamenti si trovano a valle delle dighe perché, come detto, l’energia deve essere stoccata a monte per poterne sfruttare l’energia potenziale tramite la gravità. Questo aumenta di molto l’esposizione di persone, strutture, infrastrutture, attività, ecc…

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[Foto 2: i resti della di diga di Malpasset, il cui crollo causò la morte di più di 400 persone nel 1959. Le responsabilità furono attribuite alla scarsa qualità del calcestruzzo e ad alcuni errori di progettazione. Di Eolefr – Fotografia autoprodotta, CC BY-SA 3.0]


Resta da valutare con quale probabilità questi eventi catastrofici avverranno. Le dighe sono strutture enormi e molto complesse, devono resistere a sollecitazioni elevatissime e si devono adattare al terreno in cui sono costruite. Inoltre, devono soddisfare una serie di funzioni: generare energia, controllare i corsi d’acqua, irrigare, ecc… Quindi, devono essere integrate a una serie di impianti secondari che, a loro volta, possono essere estremamente complessi. Questo richiede una progettazione articolata che aumenta la probabilità di commettere errori, anche minimi. 

Ma i fattori umani possono essere anche di natura politica. Le responsabilità per i disastri di Banqiao e Vajont sono, infatti, in larga parte dovuti a scelte poco sicure dettate da governanti o committenti in ottica del massimo risparmio o del massimo profitto. Le dighe sono, inoltre, tra gli obiettivi più sensibili in caso di guerre o occupazioni, per via del fatto che si può causare una catastrofe con un solo missile o un po’ di esplosivo. 

Ulteriore difficoltà per i progettisti è il fatto che questi impianti sono molto impattanti sulla morfologia del terreno per via delle grosse masse in gioco e della presenza di acqua in aree prima asciutte. Non è facile, quindi, prevedere cambiamenti geologici e risposte dell’ambiente a eventi naturali come terremoti o eventi metereologici. L’ingegneria funziona con metodi semi-probabilistici e tutte queste eventualità vengono tenute in conto, anche con diversi coefficienti di sicurezza. Ma, come dimostra l’esperienza, non sempre è sufficiente. 

A questo aggiungiamo il fatto che, per costruire una diga, servono grandi quantità di materiali (calcestruzzo, acciaio, ecc…). Come è facile intuire, questi materiali vanno prodotti, trasportati, stoccati e possono avere dei difetti che ne inficiano le caratteristiche meccaniche una volta in opera. Tutti motivi che aumentano il fattore di rischio.

Abbiamo, dunque, elevata vulnerabilità, ampia esposizione e alta probabilità rispetto alle altre fonti low carbon. Per questo motivo produrre energia dall’idroelettrico risulta centinaia di volte più rischioso che produrla tramite nucleare o altre rinnovabili.


Enrico Laerte Corona

Fonti: