Le astronavi “cucite su misura”: le tute spaziali
[Particolare della tuta usata da Luca Parmitano nella EVA 23. Crediti: NASA.]

Negli ultimi tempi, alcuni fatti hanno attirato l’attenzione del pubblico sulle tute spaziali. Eccovi alcune notizie sull’argomento.

16 luglio 2013

Stazione Spaziale Internazionale, spedizione numero 36. Sono passati circa 38 minuti dall’inizio dell’EVA (Extra-Vehicular Activity, attività extraveicolare) numero 23. I due astronauti impegnati nella “passeggiata spaziale” sono l’americano Chris Cassidy e l’italiano Luca Parmitano, alla sua prima missione nello spazio e alla sua seconda EVA in assoluto.

Qualcosa va storto.
Terribilmente storto.

Dapprima un sensore rileva un allarme relativo al biossido di carbonio (CO2). Sei minuti dopo, Luca comunica di sentire dell’acqua dietro la testa. Meno di dieci minuti dopo, l’acqua aumenta: anche Chris Cassidy se ne accorge, e conferma quanto annunciato da Parmitano. Si decide quindi di terminare l’attività extraveicolare, e di tornare al punto di partenza: l’airlock Quest, nel segmento americano della ISS. Nel tragitto del ritorno, che compie “a memoria”, Luca è quasi completamente accecato e sordo dall’acqua negli occhi e nelle orecchie, e rischia l’asfissia quando l’acqua raggiunge il suo naso. La sensazione che descriverà successivamente è quella di sentirsi come “un pesce rosso in una boccia piena d’acqua… dal punto di vista del pesce rosso!

17 giugno 2021

Durante un’attività extraveicolare al di fuori della Stazione Spaziale Internazionale, l’astronauta NASA Shane Kimbrough ha dovuto interrompere l’installazione di un pannello solare per tornare al punto di partenza, collegare la propria tuta a un connettore e ”riavviarla”. Questo gli ha permesso di correggere i problemi con la visualizzazione delle informazioni di stato del suo sistema, nonché di spegnerne e riaccenderne il raffreddamento. La sua EVA è poi proseguita senza problemi.

10 agosto 2021 

A seguito di un’inchiesta interna, la NASA ha riconosciuto di essere in ritardo sullo sviluppo delle proprie tute spaziali per le missioni del progetto Artemis, rendendo in sostanza impossibile l’allunaggio del tredicesimo uomo e della prima donna sulla Luna per la fine del 2024.

Questo annuncio ha anche provocato una risposta da parte di Elon Musk, il quale ha twittato un sarcastico “SpaceX could do it if need be” (SpaceX potrebbe farlo se fosse necessario). 

29 settembre 2021 

Viene pubblicato sul sito SAM.gov, che è un sito del governo americano per gestire l’erogazione di fondi federali, un’opportunità, da parte di aziende private, per proporre alla NASA una soluzione riguardo agli “Exploration Extravehicular Activity Services” (xEVAS), vale a dire i sistemi che verranno usati sulla Luna per permettere agli astronauti le esplorazioni del suolo lunare. Ciò ha fatto intuire agli addetti ai lavori che la NASA abbia “aperto ai privati” lo sviluppo delle tute spaziali da usare sulla Luna nell’ambito delle missioni Artemis.

Si tratta in realtà di una linea aggiuntiva di sviluppo, allo scopo di aumentare la ridondanza, affiancando alle tute xEMU (in progettazione in NASA già dal 2016) quelle (da sviluppare) dei privati, un po’ come già accaduto riguardo allo sviluppo dei vettori orbitali con il Commercial Crew Program.

Tiriamo le somme.

Dopo aver letto tutto questo, vi potreste chiedere quanto possano essere complicate le tute spaziali, tra malfunzionamenti, richieste improvvise di riavvii e ritardi nella progettazione.
La risposta breve è: “dannatamente complicate”.

La risposta lunga è: una tuta spaziale è un vero e proprio sistema, sviluppato allo scopo di mantenere viva una persona, nel vuoto dello spazio o su un altro corpo celeste, per diverse ore (teniamo presente che la EVA di durata più lunga ha sfiorato le 9 ore, nel 2001, durante la missione dello Shuttle STS-102).

Le variabili in gioco.

Una tuta spaziale deve:

  • proteggere dal vuoto, vale a dire da una pressione pari a zero: in questa condizione i fluidi umani, a cominciare dal sangue e dalla saliva, entrano rapidamente in ebollizione.
  • Proteggere da temperature che si aggirano fra i +150°C e i -150°C, a seconda se l’astronauta sia esposto al sole o all’ombra. Frequentemente si ha anche il caso contemporaneo (un lato solo è esposto al sole, mentre l’altro perde rapidamente calore). Per fare questo, si utilizza un LCVG (Liquid Cooling and Ventilation Garment, indumento di raffreddamento a liquido e ventilazione). I tubicini che lo compongono hanno una lunghezza complessiva che può raggiungere gli 80 metri!
  • Proteggere dalle radiazioni infrarosse e ultraviolette. Sulla Terra, l’atmosfera riduce significativamente il carico di radiazioni che sopportiamo, e nello spazio non è possibile usufruire di tale protezione.
  • Proteggere da eventuali impatti di micrometeoriti. Il caso è teoricamente possibile: il 5 marzo 2021, durante l’EVA 72, l’astronauta americana Kate Rubins ha riferito di avere un segno sul guanto destro, in corrispondenza del dito indice: la tuta non ha comunque avuto alcuna perdita di pressione.
  • Essere il più possibile “taglia unica” per tutti gli astronauti. In realtà, normalmente esistono tre taglie: medium, large ed extralarge.
  • Fornire acqua e cibo all’astronauta durante la sua attività: normalmente gli attuali sistemi hanno una sorta di “cannuccia” che permette di idratarsi, e delle barrette di cibo sono normalmente presenti su di un lato del casco.
  • Evitare che l’astronauta vada alla deriva: sulle EMU (Extravehicular Mobility Unit, Unità di Mobilità Extraveicolare), vale a dire le tute spaziali in uso sulla ISS, si usa un cavo di sicurezza, chiamato BRT (Body Restraint Tether, cavo di ritenuta del corpo)  per agganciare l’operatore alle ringhiere presenti sulla stazione spaziale. Nel malaugurato caso di uno sganciamento è previsto anche un dispositivo, chiamato SAFER, che consiste in un jetpack integrato alla EMU, il quale permette di riguadagnare il contatto con le ringhiere della ISS.
  • Assicurare all’astronauta di poter espletare le proprie funzioni fisiologiche: si usa il così detto MAG: Maximum Absorbency Garment, “indumento a massima assorbenza”: è chiamato “pannolino” o “pannolone” da quasi tutti gli astronauti.
  • Evitare che l’astronauta rischi di annegare in circostanze simili all’EVA 23 di Luca Parmitano: dal 2013, sulle EMU, in prossimità della parte posteriore del casco è presente una striscia adesiva fatta dello stesso materiale (ad alta assorbenza) del “pannolino”, ed è presente anche un boccaglio che permette di aspirare aria dalla parte toracica della tuta, in modo da poter quantomeno evitare di affogare.

Nell’immagine sottostante, un’idea dei componenti:

[Schema approssimato di una tuta spaziale usata nelle missioni lunari del progetto Apollo. Crediti: utente brblol su Reddit]

Capito perché sono così complicate?

Sulle tute spaziali sono stati scritti tantissimi articoli e libri: tentare di spiegare tutto in un solo articolo è praticamente impossibile. Se desiderate approfondire, troverete una serie di riferimenti bibliografici fra le fonti che potranno soddisfare ulteriormente la vostra curiosità.


Fonti e bibliografia minima:

(In Inglese ove non segnalato).

  • Un libro recente (tra i molti) scritto in Italiano da tre autori proprio sull’argomento: Carlo Di Leo, Antonio Lo Campo, Giorgio Lucarelli, “Le tute spaziali: astronavi in miniatura”, ed. IBN, 2021.
  • Una vivida cronaca dell’esperienza con le tute spaziali (americane e russe) è data da Samantha Cristoforetti in “Diario di un’apprendista astronauta”, ed. La nave di Teseo, 2018 (in Italiano).
  • Per chi è appassionato dei programmi spaziali come Gemini o Apollo, e vuole saperne di più sulle tute spaziali dell’epoca, si consiglia di leggere Michael Collins, “Carrying the Fire: an astronaut’s journeys” ed. FSG, orig. 1974. Collins era infatti l’astronauta specializzato per attività extraveicolari e tute spaziali nel programma Gemini, ed effettuò un’EVA nella missione Gemini 10. Thanks for carrying the fire, Mike!

Marco Cannavacciuolo

Laurea in Economia, master in Giornalismo e comunicazione. Tantissima curiosità per tutto quel che ci circonda e molta passione nel divulgare quel poco che sa.

Appassionato di spazio sin da piccolissimo, è membro di diverse associazioni che hanno lo scopo di divulgare l’astronautica e l’astronomia. 

Studioso del programma spaziale americano, ha tenuto una conferenza sull’odissea dell’Apollo 13 e ha collaborato informalmente come astrofilo allo svolgimento di serate osservative in Liguria. Scrive anche su riviste del settore aerospaziale, come “Spazio Magazine”, e chiacchiera settimanalmente in radio di spazio su Linea Radio, una web radio.

Al “bancone” del Bar Scienza si occupa principalmente di astronautica, astronomia, comportamentismo, economia e marketing, in rigoroso ordine sparso.