Nello scorso mese diverse scoperte in radioastronomia hanno fatto clamore nella comunità scientifica. In particolare, la scoperta di una magnetar anomala ha posto dubbi sulla validità dei modelli che descrivono questi oggetti.
La radioastronomia, inventata da Karl Jansky negli anni 30 del secolo scorso, è quella parte dell’astrofisica che si propone di indagare l’universo nella banda delle onde radio dello spettro elettromagnetico.
Questa banda è naturalmente selezionata dall’atmosfera terrestre, che ne definisce il limite inferiore in frequenze attorno ai 10 MHz e quello superiore attorno ai 300 GHz.
Le onde elettromagnetiche che giungono alla Terra con frequenza inferiore ai 10 MHz vengono infatti riflesse dalla ionosfera terrestre che rappresenta per esse uno specchio. Allo stesso modo, la presenza di vapor acqueo nell’atmosfera terrestre scherma le onde elettromagnetiche di frequenza maggiore di 300 GHz.
Essendo un range di frequenze molto ampio che copre 5 ordini di grandezza (si pensi a paragone che il visibile copre sostanzialmente 1-2 ordini di grandezza) è possibile osservare una grande varietà di fenomeni celesti.
Ad esempio, l’osservazione di segnale a 1.4 GHz (21 cm di lunghezza d’onda) emesso da una sorgente è un metodo per rivelare la presenza di idrogeno neutro nella sorgente. Lo strumento principe per questa osservazione è da sempre stato il Radiotelescopio di Arecibo, recentemente dismesso e realizzato in un cratere vulcanico in Messico, diventato un oggetto iconico presente anche in diversi film.
La scoperta che molte delle sorgenti X, come quasar e AGN (Active Galactic Nuclei), hanno una controparte radio ha aperto la strada alla moderna strategia osservativa dell’astronomia multimessagero. Questo è stato possibile grazie allo sviluppo della tecnica dell’interferometria a apertura sintetica da parte di Sir M. Ryle a Cambridge. Sfruttando la correlazione del segnale proveniente da più radiotelescopi debitamente collegati, si crea una figura di interferenza dei segnali ricevuti dai singoli telescopi. Il vantaggio risiede nel raccogliere molto più segnale avendo tanti rivelatori e di poter risolvere dettagli molto piccoli della sorgente, come se il telescopio fosse grande quanto la separazione media delle antenne.
Con questa tecnica J. Bell scoprì la prima pulsar ed è stata osservata la zona circostante il buco nero all’interno di M87 da parte dell’Event Horizon Telescope.
Il contributo alla cosmologia della radioastronomia è vasto, ma non si può esimersi dal citare il fondo cosmico a microonde (CMB). Il picco dell’emissione del CMB è infatti in banda radio ed è lunga la lista di premi Nobel vinta da radio astronomi che hanno dedicato i loro studi a questo segnale dei primordi del cosmo.
Ma ancora più importante è il progresso della conoscenza del cosmo che queste scoperte hanno permesso.
Come si osserva il cielo in banda radio? Di primo acchito è molto semplice, serve una radio, cioè uno strumento in grado di rivelare delle onde radio, ed un’antenna, cioè un telescopio in grado di raccogliere queste onde.
Prima dell’avvento del digitale terrestre, eseguendo la sintonizzazione dei canali TV, sullo schermo era possibile vedere una serie di punti grigi variabili..ebbene non era quello solo rumore, ma sicuramente anche segnale proveniente dal cielo..
Bibliografia:
M. Razzano, Ascoltare il cosmo. Le frontiere dell’astrofisica dai neutrini alle onde gravitazionali, 2021, Carrocci editore