È sera. Piove e il freddo vi si infila nelle ossa mentre pensate di dover scendere dall’auto per entrare in casa.
Per fortuna che con una pigiata sul telecomando aprite il cancello automatico e con un’ulteriore pigiata anche la serranda del garage. Scendete al caldo e all’asciutto. Vi dirigete verso l’ascensore, che si sta chiudendo, ma con un abile colpo di piede, intercettando le fotocellule delle porte ne arrestate la chiusura e salite verso casa.
Meno male, i vostri compagni salivano all’ultimo piano e avreste dovuto aspettare l’ascensore per un’eternità. Ringraziate per la fortuna di averlo bloccato al volo, ma chi dovreste ringraziare veramente?
Il signor Albert Einstein.
Nel 1905 Einstein non vinse il Nobel per la Fisica solo per la pubblicazione della teoria della relatività ristretta e per il suo lavoro sul moto Browniano delle particelle ma il premio gli fu assegnato soprattutto per lo studio dell’effetto fotoelettrico, che sta alla base del funzionamento delle moderne fotocellule.
All’inizio del secolo scorso la questione dell’effetto fotoelettrico era fortemente dibattuta perché irrisolta. Dai vari esperimenti condotti infatti, in particolare quello di Lenard, non era mai emersa una teoria in grado di spiegarlo in tutti i suoi aspetti.
I vari esperimenti al tempo avevano mostrato che bombardando delle lastre metalliche con delle onde elettromagnetiche, l’interazione con la radiazione causava l’emissione di elettroni dal metallo, rilevata sotto forma di corrente da un apparato sperimentale.
Quella che restava senza spiegazione era però la ragione per cui la generazione di corrente (e quindi l’emissione di elettroni) fosse collegata alla frequenza della radiazione incidente, come se esistesse una soglia energetica oltre la quale l’elettrone viene emesso. Questo non ha senso in fisica classica poiché le onde elettromagnetiche trasportano un’energia pari solo alla loro ampiezza e indipendente dalla loro frequenza.
Einstein trovò una soluzione a questo problema adottando la quantizzazione delle onde proposta da Planck per risolvere il problema del corpo nero. Secondo questa nuova formulazione, l’energia di un fotone (quanto di luce) dipende dalla sua frequenza. Questo spiega quindi perché aumentando la frequenza della radiazione incidente sul metallo oltre una certa soglia (detta energia di estrazione) si ha emissione di un elettrone, che risulta via via più energetico al crescere della frequenza.
Ma questo che attinenza ha con l’ascensore? Semplice. La fotocellula che comanda le porte dell’ascensore è basata sull’effetto fotoelettrico. Da un lato una sorgente emette delle onde elettromagnetiche, dall’altro lato un metallo riceve le onde ed emettendo elettroni attiva un circuito elettrico. Quando un ostacolo (il piede) interrompe il fascio di onde, la corrente nel circuito si ferma e un interruttore blocca le porte dell’ascensore. Lo stesso per le fotocellule dei cancelli, i sistemi di allarme ecc.