Nell’oscurità anche una debole sorgente luminosa può essere nitidamente distinta. A ben pensarci, anche la scena opposta può rivelare dettagli sulle forme che la compongono. Un tramonto che illumina il cielo ci mostra infatti il contorno di tutti gli oggetti che si pongono fra l’osservatore e l’orizzonte. Questo tipo di immagine tecnicamente viene definita “silhouette” perché ci mostra la forma degli oggetti, senza per altro mostrarne i colori.
In cosmologia, una tecnica simile permette di scoprire nuovi ammassi di galassie. Così come la luce del sole al tramonto illumina tutto il cielo, l’universo è illuminato in ogni direzione dalla radiazione di fondo del big bang, rendendolo splendente alle microonde.
E se una palma ci appare nei suoi dettagli dal controluce di un magico tramonto in un’isola tropicale, un ammasso di galassie ci può apparire come un’ombra che oscura localmente la radiazione di fondo cosmico, proprio come la palma fa con il sole.
Tecnicamente l’effetto si chiama Sunyaev Zeldovich (SZ) e fa parte delle cosiddette anisotropie secondarie del fondo cosmico, cioè di tutte quelle disomogeneità spaziali di questa radiazione che avvengono non alla superficie di ultimo scattering, quando la CMB (Cosmic Microwave Background) è nata, ma in epoche più recenti, durante il viaggio che i suoi fotoni compiono verso i nostri rivelatori.
Consideriamo un ammasso di galassie, cioè un insieme di circa un migliaio di galassie, che a causa della forza di gravità (e del fatto che sono compagnone e non amano stare sole) si addensano in una regione dello spazio e stanno “vicine vicine”. Questo addensamento locale di materia genera un’attrazione gravitazionale in grado di intrappolare nella sua zona d’influenza degli elettroni liberi. Essi formano all’interno dell’ammasso un plasma di circa 10 milioni di gradi.
Questo gas di elettroni che permea l’ammasso, ovviamente, interagisce con i fotoni del fondo cosmico (presenti in ogni punto dell’universo) con un meccanismo di autoscontro simile a quello descritto per la generazione della polarizzazione del fondo. In buona sostanza, gli elettroni sono molto più energetici dei fotoni del CMB e, negli urti fra i due, l’elettrone cede energia ai fotoni del fondo. Acquisendo energia, i fotoni vengono spostati in regioni dello spettro a frequenze maggiori (l’energia dei fotoni è direttamente proporzionale alla frequenza).
Sostanzialmente, in direzione di un ammasso di galassie esisterà una regione dello spettro in frequenza del CMB, in cui ci sarà meno energia rispetto a quella di una zona priva di ammassi, perché le pedate date loro dagli elettroni li ha spostati in una regione a frequenza maggiore.
Tecnicamente, uno strumento che misuri la variazione di intensità del fondo in una direzione del cielo come quella in figura, avrebbe scoperto un nuovo ammasso di galassie.
Inoltre il modello “standard” dell’universo predice che questo effetto di spostamento di segnale dai fotoni del CMB è indipendente dalla distanza (redshift) dell’oggetto (ammasso di galassie) dall’osservatore.
Supponiamo ora che il modello cosmologico sia errato: in questo caso, la relazione SZ non sarebbe più indipendente dal redshift. Supponendo di scoprire il redshift dell’ammasso in modo indipendente (ad esempio con uno spettro ottico), incrociandolo con una osservazione SZ, si potrebbe fare un test al modello cosmologico e aprire alla scoperta di nuova fisica.
Insomma: guardando controluce si rischia di rimanere abbagliati, ma l’abbaglio può essere stupefacente!
Bibliografia:
M. Harwit, Astrophysical concepts, Springer.
S. Spinelli, “The use of optical coherence for instrumentation devoted to CMB experiments”, PHD thesis