Capitolo 2: storie di onde e particelle
Nei capitoli precedenti
Alla fine del XIX secolo avevamo la ragionevole certezza che la materia e gli oggetti macroscopici fossero composti da atomi. La scoperta dell’elettrone da parte di Thomson aveva scompigliato le carte, ma allo stesso tempo confermava che i costituenti ultimi della materia fossero universali.
Il moto degli oggetti macroscopici era perfettamente spiegabile seguendo i principi della meccanica newtoniana. Grazie ad essa, le leggi del moto di un sistema fisico erano facilmente ricavabili e l’evoluzione futura di tale sistema fissata dal suo stato iniziale e dalle leggi stesse che ne governano il moto.
La natura della luce è stata per secoli uno dei più grandi enigmi che ha accompagnato l’uomo nel corso del suo viaggio alla scoperta dell’universo. Basti pensare che abbiamo davvero cominciato a capirci qualcosa solamente nell’Ottocento, quando gli sviluppi tecnologici furono tali da farci effettuare esperimenti sufficientemente precisi.
Ma cos’è la luce?
La velocità della luce
Pur ammettendo che la luce sia composta da qualcosa – e fino a inizio Ottocento non sapevamo cosa fosse questa cosa –, abbiamo un problema: a che velocità viaggia?
Porsi questa domanda era in realtà lecito già nell’antichità. Prendiamo per esempio il Sole; se pensiamo ad esso come alla fonte primaria di luce che illumina la Terra, ha senso domandarsi quale sia la velocità della luce proprio perché abbiamo la consapevolezza che il Sole e la Terra siano due oggetti distanti tra loro. Questo era già noto nell’antichità: il primo a tentare di calcolare la distanza Terra-Sole fu l’astronomo ellenista Aristarco di Samo, il quale stimò che la distanza Terra-Sole fosse circa 19 volte la distanza Terra-Luna.1
In realtà la distanza tra Terra e Sole corrisponde grossomodo a oltre 390 volte quella tra Terra e Luna e verosimilmente l’errore di Aristarco fu dovuto alla scarsa precisione delle misure disponibili all’epoca. Tuttavia, nonostante il non piccolo errore nel risultato finale, ciò che emergeva era lampante: Terra e Sole sono chiaramente distanti; dunque, se la luce che illumina la Terra ha origine nel Sole stesso, ha perfettamente senso chiedersi quale sia la sua velocità.
Innanzitutto, bisogna dire che nell’era pre-galileiana le idee non erano proprio chiarissime. Per esempio, Erone di Alessandria la faceva semplice: la luce viaggia a velocità infinita, o per dirla con le sue stesse parole:
Quando apriamo gli occhi e guardiamo il cielo, non è necessario alcun intervallo di tempo perché i raggi visuali lo raggiungano, così come vediamo immediatamente le stelle, che, come è noto, sono a distanza infinita dalla Terra.
In epoca più recente, tuttavia, il semplice fatto che l’occhio umano non fosse in grado di percepire direttamente il movimento della luce, non era per Galilei una motivazione sufficiente per affermare che essa si propagasse con velocità infinita. Proprio per questo, egli fu il primo, in epoca moderna, a proporre un esperimento che avesse l’obiettivo di misurare la velocità della luce.

Tale esperimento prevedeva lo scambio di segnali luminosi tra due persone poste a una distanza nota di alcune miglia. L’esperimento fu eseguito nel 1667 ma non produsse alcun risultato utile dal momento che i tempi di reazione dell’occhio umano sono ben più lunghi di quanto la luce impiegasse a percorrere la distanza tra i due osservatori. Insomma, l’unica cosa che si poteva dedurre da tale, fallimentare, esperimento fu che la luce viaggia ad una velocità estremamente elevata.
Pochi anni più tardi, tuttavia, nel 1676, l’astronomo danese Ole Rømer, tramite alcune osservazioni delle eclissi di Io, una luna gioviana, riuscì a dare una prima stima della velocità della luce: circa 200000 km/s. Nei decenni successivi, grazie ad osservazioni più precise e ad esperimenti più raffinati, la velocità della luce fu stimata con sempre maggiore precisione, fino ad avere, nella prima metà del ‘700 una stima molto simile a quella oggi universalmente riconosciuta di circa 300000 km/s.
Onde o particelle?
Ora che abbiamo capito a quale velocità viaggia la luce, non ci resta che comprendere di cosa essa sia fatta. In questo caso, in epoca moderna, le correnti di pensiero erano essenzialmente due, come due erano i contendenti – letteralmente due tra i più grandi fisici della fine del ‘600 – pronti a battersi per avere lo scettro della ragione.
La prima ipotesi, sostenuta da nientemeno che Isaac Newton, prevedeva che la luce fosse composta da particelle. Questa teoria si inseriva perfettamente nelle idee che prevedevano l’esistenza di unità fondamentali che da lì a poco più di un secolo avrebbero portato Dalton a sviluppare l’atomismo moderno. A contrapporsi a Newton, troviamo, invece, un fisico olandese, poco conosciuto ai più, di nome Christiaan Huygens, la cui ipotesi prevedeva, invece, che la luce fosse in realtà un’onda.

Sia la teoria di Newton che quella di Huygens erano in grado di spiegare il fenomeno della rifrazione della luce;2 tuttavia, eccetto casi particolari come quello della rifrazione, il fatto che la luce fosse un’onda o una particella implicava necessariamente comportamenti molto diversi nei due casi.
Il problema, come sempre in quel periodo, era che le idee di uomini geniali come Huygens, Newton e Galilei, spesso erano troppo avanzate per essere confermate o smentite dagli esperimenti dell’epoca, limitati da una tecnologia ancora non sufficientemente matura.
A tutti era chiara, tuttavia, una cosa. Il fenomeno chiave da studiare era quello della diffrazione: le onde fanno diffrazione mentre le particelle no.
Per farla semplice, la diffrazione è quel fenomeno che si osserva in uno specchio d’acqua con delle onde le cui creste si dirigono parallelamente verso un bordo (come, per esempio, il molo di un porto o una serie di frangiflutti), in cui è posta una piccola apertura (o fenditura). Una volta superata l’apertura le creste non si propagheranno più parallelamente ma, piuttosto, in modo circolare, vedi Figura 3.


Evidentemente, il medesimo esperimento ripetuto con oggetti (come palline per esempio), al posto di onde, produrrebbe risultati completamente diversi: la pallina, una volta superata la fenditura, in accordo con i principi di Newton, proseguirebbe il suo moto mantenendo la stessa identica direzione che aveva in precedenza.
Un aspetto interessante riguardante la diffrazione è ciò che succede se poniamo due fenditure una accanto all’altra: una volta superata la barriera, le onde, uscenti dalle due fenditure, si propagheranno circolarmente fino ad incontrarsi. Dall’incontro delle due, osserveremo un fenomeno tipico delle onde: l’interferenza.
Quando due onde si incontrano e le valli di una sono in corrispondenza delle creste dell’altra, le due onde si cancellano a vicenda e si parla di interferenza distruttiva. Al contrario, nel caso in cui l’incontro tra le onde avvenga in corrispondenza delle creste, viene generata un’onda con un’ampiezza data dalla somma delle ampiezze delle singole onde e si parla, in questo caso, di interferenza costruttiva (vedi Figura 4).


Se la luce fosse stata davvero un’onda, un esperimento con una doppia fenditura, grazie alla combinazione tra diffrazione e interferenza, avrebbe dovuto produrre una figura simile a quella in Figura 5 su un pannello posto oltre le due fenditure. Le linee chiare corrispondono a punti in cui le creste delle onde si sono sommate (presenza di luce), mentre le bande scure si trovano in prossimità di punti in cui creste e valli si sono annullate reciprocamente (assenza di luce). Questo tipo di figura viene comunemente detta figura di interferenza.


L’osservazione di una figura di interferenza per la luce, tuttavia, poneva una serie di difficoltà tecniche, motivo per cui non si ebbero risultati evidenti per oltre un secolo. Nel 1801, tuttavia, il medico (con una evidente predisposizione per la fisica) inglese Thomas Young riuscì ad effettuare l’esperimento e il risultato fu strabiliante: la luce produceva una figura di interferenza, Huygens aveva ragione e, per una volta, quel genio di Newton torto:
La luce è un’onda.
Maxwell, l’unificatore
Facciamo ora un salto in avanti di qualche decina di anni. Gli sviluppi tecnologici avvenuti nella prima metà dell’Ottocento avevano dato il via allo studio di una serie di fenomeni fisici totalmente nuovi: i fenomeni elettrici.
Nel 1820, il fisico danese Hans Christian Ørsted scoprì che facendo passare della corrente elettrica in un filo, attorno ad esso si generava un campo magnetico.3
Appariva dunque evidente che i nuovi, e sconosciuti, fenomeni elettrici avessero qualche legame con il magnetismo già studiato in antichità.4
L’Ottocento fu un periodo in cui scoperte sperimentali e spiegazioni teoriche si susseguirono una dietro l’altra. Una prima spiegazione al fenomeno osservato da Ørsted si ebbe con la legge di Ampere nel 1826; nello stesso periodo Faraday notò che un campo magnetico variabile era in grado di indurre una corrente in un filo di materiale conduttore.
Queste osservazioni sperimentali avevano, ciascuna, una propria spiegazione; tuttavia, quella che sembrava mancare era una visione d’insieme dei fenomeni elettrici e magnetici.
Questa visione unificatrice si ebbe, nel 1865, grazie al genio scozzese di James Clerk Maxwell e al suo trattato “A Dynamical Theory of the Electromagnetic Field”.



Maxwell nel suo trattato riprese la legge di Faraday sull’induzione elettromagnetica, estese la legge di Ampere e rispolverò il teorema di Gauss per le cariche elettriche e magnetiche. Ciò che ne risultava era un gruppo di quattro equazioni – le equazioni di Maxwell – che fornivano una descrizione completa dei fenomeni elettrici e magnetici e rendevano evidente la relazione che li legava. Da quel momento non si parlò più di fenomeni elettrici e magnetici separatamente, ma di fenomeni elettromagnetici.
Una caratteristica singolare e di fondamentale importanza delle equazioni di Maxwell era che esse ammettevano una soluzione ondulatoria: i campi elettromagnetici potevano propagarsi in un susseguirsi infinito di onde fatte di campi elettrici e magnetici oscillanti.
Il lavoro di Maxwell, già di per sé rivoluzionario, avrebbe consentito nei decenni successivi lo sviluppo delle telecomunicazioni. Tuttavia, esso assunse un valore fondante quando il fisico scozzese calcolò a quale velocità si propagassero questa onde di campi elettrici e magnetici. Ebbene? Le onde si propagavano esattamente alla velocità della luce.
La luce è un’onda elettromagnetica.
Noi, uomini di fine ottocento
Questo risultato, per nulla banale, poneva il genere umano in una posizione unica nella storia: armati delle equazioni di Maxwell e delle equazioni della meccanica newtoniana, avevamo finalmente una piena comprensione della materia e della luce allo stesso tempo. Questo risultato ci proiettava, per la prima volta nella storia dell’umanità, verso lo studio di come la materia potesse interagire con la luce.
E qui, come vedremo, le nostre conoscenze cominciarono a crollare.
- Aristarco, tra le altre cose, fu anche il primo sostenitore noto della teoria eliocentrica. ↩︎
- Questo fenomeno fisico si verifica quando la luce attraversa una superficie di separazione tra due mezzi differenti come aria e acqua. Per esempio, quando immergiamo i piedi in acqua e li osserviamo “deformati”, stiamo proprio osservando la rifrazione della luce. Lo stesso fenomeno fisico è alla base delle illusioni ottiche dei miraggi. ↩︎
- Con il termine “campo” ci si riferisce ad una modifica dello spazio circostante, la cui origine può essere di varia natura. Una carica elettrica genera attorno a sé un campo elettrico, un magnete genera un campo magnetico e un oggetto dotato di massa, come un pianeta, un campo gravitazionale. In questo caso, Ørsted si accorse della presenza del campo magnetico avvicinando al filo una bussola, la quale cominciò a puntare in una direzione diversa dal nord. ↩︎
- La parola stessa “magnetismo” deriva da Magnesia, città greca dell’Asia Minore, famosa per i giacimenti di magnetite, un minerale perlopiù composto da ferro, famoso, in antichità, per le sue proprietà magnetiche. ↩︎
Davide Laudicina
Dopo un dottorato a Milano in Fisica Teorica ho deciso di trasferirmi in Germania perché evidentemente la ricerca non mi aveva fatto abbastanza male. Orgogliosamente Nerd, nel tempo libero ho sviluppato una dipendenza da serie TV, fumetti e libri e una malsana attitudine nel perdermi durante escursioni in montagna e giri in bici.
Fonti
- Hirshfeld, A. (2020), Introduction to stars and planets: an activities-based exploration. IOP Publishing.
- Heath, Thomas (1913), Aristarchus of Samos, the Ancient Copernicus. Oxford: Clarendon.
- Erone di Alessandria, Catottrica.
- Galilei, G., Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienza.
- Maxwell, J. C., A dynamical theory of the electromagnetic field
Approfondimenti
- Gell-Mann, Murray. Il quark e il giaguaro: Avventura nel semplice e nel complesso. Italia, Bollati Boringhieri, 2017.
- Lederman, Leon M., and Hill, Christopher T. Fisica quantistica per poeti. Italia, Bollati Boringhieri, 2013.