Quanta fatica: la teoria che ha cambiato il mondo

Capitolo 1: quando pensavamo di aver capito tutto


Proviamo a metterci nei panni di un fisico dell’era pre-quantistica. Idealmente ci troviamo nella prima metà di dicembre del 1900, pochi giorni prima che un fisico di nome Max Planck decidesse di scoperchiare il vaso di Pandora durante una seduta della Società di Fisica Tedesca.

Quanto sbagliavamo

Da quasi 300 anni la scienza Galileiana ci ha liberato dalle teorie aristoteliche, dogmatiche e totalmente in contrasto con un’osservazione attenta dei fenomeni naturali. Sui principi di Galileo Galilei e Isaac Newton abbiamo costruito un modello, un’intera infrastruttura, che desse una spiegazione soddisfacente alla quasi totalità dei fenomeni naturali fino a quel momento osservati.

Certo, ci sono ancora fenomeni per i quali non siamo in grado di fornire una spiegazione soddisfacente, ma abbiamo la ragionevole certezza che da qui a pochi anni, forti delle nostre conoscenze attuali, riusciremo a spiegarli. Questa era la fisica di fine ‘800. 

La fisica pre-quantistica, o classica come la chiamiamo noi uomini contemporanei, poggia le sue fondamenta su due pilastri. Il primo – che analizzeremo oggi -, il cui sviluppo è iniziato con Isaac Newton, è la meccanica classica. Il secondo invece, sviluppatosi a partire da osservazioni empiriche, poi spiegate e formalizzate da James Clerk Maxwell nella seconda metà dell’Ottocento, riguarda la luce e tutti i fenomeni ottici ed elettromagnetici ad essa legati.

Atomismo classico e moderno

L’idea che la materia potesse essere costituita da unità fondamentali era già nell’aria da qualche migliaio di anni. Democrito aveva definito questa unità fondamentale “atomo”, dal greco ἄτομος (“atomos”), letteralmente “indivisibile”.

Quella che fino a quel momento era puramente un’idea filosofica cominciò ad acquisire solidità, in epoca moderna, con il chimico John Dalton e la sua legge delle proporzioni multiple. Essa afferma:

Quando due elementi reagiscono in modi diversi per formare diversi composti, fissando la quantità di uno dei due elementi, la quantità dell’altro elemento necessaria a reagire per formare un diverso composto risulterà essere un multiplo o sottomultiplo di sé stessa, in rapporti esprimibili con numeri piccoli ed interi.

In altre parole, supponiamo di far reagire dell’Idrogeno con dell’Ossigeno. Da questa reazione possiamo produrre per esempio acqua o perossido di Idrogeno (la comune acqua ossigenata). La legge di Dalton ci dice che, fissando la quantità di Idrogeno, il rapporto tra la quantità di Ossigeno necessaria per formare acqua ossigenata e quella necessaria per formare acqua sarà un numero intero. Per esempio, supponiamo di fissare a 2g la quantità di idrogeno; per ottenere quindi, dalla reazione, della comune acqua avremo bisogno di usare 16g di Ossigeno. Al contrario, per produrre acqua ossigenata, la quantità di Ossigeno necessaria sarà di 32g. Dunque, il rapporto tra le quantità di Ossigeno nei due composti è 32g/16g = 2, un numero intero.

Nonostante non fosse una prova diretta dell’esistenza di unità fondamentali della materia, come gli atomi, la legge delle proporzioni multiple di Dalton era perfettamente compatibile con l’esistenza di queste unità.

Noi, uomini del XXI secolo, sappiamo che questo rapporto intero tra la quantità di Ossigeno contenuto nell’acqua ossigenata e quella contenuta nella comune acqua è dovuta al fatto che una molecola di acqua ossigenata contiene il doppio degli atomi di Ossigeno rispetto a una molecola di acqua.

A rendere ancora più interessante il dibattito sull’atomismo ci pensò J. J. Thomson quando, nel 1897, scoprì una nuova particella (la prima in realtà). Thomson, con il suo esperimento sui raggi catodici, riuscì ad individuare una particella, associata al passaggio di corrente tra due elettrodi, che chiamò poi “elettrone”. La cosa sorprendente è che Thomson, nel suo esperimento, osservò che il rapporto tra carica elettrica e massa di questa fantomatica particella era lo stesso per tutti i materiali da lui analizzati, il che costituiva un chiaro indizio sul fatto che i mattoni fondamentali della materia fossero comuni ai vari elementi.

Da lì a una decina di anni, a inizio ‘900, esperimenti come quelli di Millikan e di Rutherford sarebbero stati in grado di determinare esattamente la carica elettrica e la massa dell’elettrone e di scoprire un nuovo costituente dell’atomo: il nucleo atomico.

Questa scoperta, insieme all’identificazione dell’elettrone da parte di Thomson, avrebbe portato a una ridefinizione di ciò che consideriamo “mattone fondamentale” della materia, dal momento che risultava evidente dagli esperimenti che l’indivisibile atomo democriteo, essendo composto da nucleo ed elettroni, possedeva una struttura interna.

Dunque, a fine ‘800, sebbene non avessimo prove dirette dell’esistenza degli atomi, avevamo già osservato quella che oggi definiremmo una “particella elementare”, ovvero l’elettrone e, nonostante ci fosse ancora chi era scettico nei confronti della teoria atomica, la strada era ormai tracciata.

Il determinismo classico

Gli oggetti macroscopici sono dunque costituiti da atomi. Ma come facciamo a descrivere in che modo e perché si muovono? In questo, ci viene in aiuto il primo pilastro della fisica classica: la meccanica newtoniana o classica.

Questa muove i suoi primi passi con Newton e i suoi tre principi della dinamica1. In accordo con questi tre principi, nei secoli, siamo riusciti a spiegare una quantità innumerevole di fenomeni, dal semplice moto di una particella su un piano inclinato o di un pendolo, fino a situazioni più complesse come la caduta di un corpo o il moto di rivoluzione di un singolo pianeta attorno ad una stella.

La meccanica newtoniana trovò nel corso del XVII e XVIII secolo una formulazione più generale grazie a matematici come Joseph-Louis Lagrange – che, per quanto volesse atteggiarsi con questo altisonante nome francese, in realtà si chiamava Giuseppe Luigi Lagrangia, nato a Torino nel 1736 – e William Rowan Hamilton.

L’intera “infrastruttura” fornita dalla meccanica classica si basava sul fatto che l’evoluzione di un qualsiasi sistema fisico, sia che si trattasse di un pendolo in oscillazione o di una cometa in orbita attorno al Sole, fosse descrivibile tramite le cosiddette equazioni del moto.

Queste equazioni, ricavabili, grazie ai lavori di Lagrange e Hamilton, a partire da una conoscenza generale del sistema fisico che stiamo studiando, ci consentono, dato un certo grado di informazione riguardo lo stato iniziale del sistema (le cosiddette condizioni iniziali), di descrivere il moto di tale sistema nel tempo e nello spazio.

Date, per esempio, le equazioni del moto di un pianeta in orbita attorno al Sole (soggetto all’interazione gravitazionale) e le sue condizioni iniziali, siamo in grado di predire la forma esatta della sua orbita, il tempo di rivoluzione attorno alla stella e tutte le proprietà del sistema.

Una caratteristica fondamentale della meccanica classica è il suo completo determinismo: date le equazioni del moto di un sistema (e le sue condizioni iniziali), risolvendole, siamo in grado, per quanto complesso possa essere il sistema, di predirne lo stato a qualsiasi tempo da qui all’eternità2.

Prendiamo, per esempio, il moto di un pendolo. Parte dell’energia del pendolo sarà dispersa dal perno a cui è attaccato e un’altra parte dall’attrito dovuto all’aria. Conoscendo l’equazione del moto del sistema pendolo-perno-aria e la posizione iniziale del pendolo saremo in grado – in linea di principio – di calcolare quante oscillazioni compirà il pendolo prima di fermarsi.

Rendiamo più complicato il tutto: nella stessa stanza del pendolo mettiamo una persona che sta lanciando una moneta. Conoscere le equazioni del moto di questo sistema significa conoscere esattamente quanta forza impiega la persona nel lanciare la moneta, l’effetto che lo spostamento d’aria dovuto all’oscillazione del pendolo ha sul lancio della moneta e anche l’emissione di calore, da parte dell’uomo, che potrebbe riscaldare la stanza e portare a un’impercettibile modifica nella forma della moneta. Sapendo tutte queste cose e se, al momento del lancio, la moneta rivolge il lato con testa (o croce) verso l’alto (la condizione iniziale), saremo in grado di prevedere esattamente, senza alcuna incertezza, il risultato del lancio della moneta3.

Possiamo applicare tutto ciò a sistemi di complessità crescente e il risultato è uno soltanto: il futuro è prevedibile e una diretta conseguenza del passato. In questo senso diciamo che la meccanica classica è deterministica, o come disse Pierre Simon Laplace:

Possiamo considerare lo stato attuale dell’universo come l’effetto del suo passato e la causa del suo futuro. […] nulla sarebbe incerto ed il futuro proprio come il passato sarebbe evidente davanti ai suoi occhi.

Le scoperte che arriveranno a inizio ‘900 e che porteranno alla formulazione della meccanica quantistica dimostreranno che Laplace aveva torto: l’universo è governato da incertezza e indeterminazione e, per quanto la nostra conoscenza su un sistema fisico sia approfondita, questa incertezza è inevitabile e impossibile da rimuovere.

Quello che verrà

Qui direi che possiamo concludere questo capitolo 1. Mi perdonerete per la lunghezza di questo articolo, ma condensare oltre 200 anni di fisica, tra atomismo e meccanica, non è stato semplice e, nonostante tutto, molte cose sono state tralasciate. Proprio per questo motivo possiamo dire che sono stato, in realtà, estremamente sintetico. In ogni caso, su alcuni argomenti torneremo sicuramente più avanti nel corso di questo viaggio.

Per quanto riguarda noi, ci vediamo tra due settimane con il prossimo capitolo, in cui andremo alla scoperta del secondo pilastro della fisica classica, quello che ha realmente portato tutto a crollare: la luce.


  1. Questi furono enunciati da Newton nei Philosophiae naturalis principia mathematica, nel 1687.
    Essi affermano (fonte Wikipedia):
    Primo principio (o principio di inerzia): «Ciascun corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, salvo che sia costretto a mutare quello stato da forze applicate ad esso.»
    Secondo principio: «Il cambiamento di moto è proporzionale alla forza motrice applicata, e avviene lungo la linea retta secondo la quale la forza stessa è esercitata.»
    Terzo principio (o principio di azione e reazione): «A un’azione è sempre opposta un’uguale reazione: ovvero, le azioni vicendevoli di due corpi l’uno sull’altro sono sempre uguali e dirette verso parti opposte.» ↩︎
  2. Nella maggior parte dei casi le equazioni del moto non possono essere risolte “carta e penna”, ma in questo ci vengono in aiuto i moderni computer. Un esempio classico di equazioni del moto è dato dalle equazioni di Lotka-Volterra che descrivono l’evoluzione di un ecosistema popolato da due sole specie: una preda e un predatore. Qui un video su tale sistema. ↩︎
  3. Sistemi sufficientemente complessi possono essere caotici. Per questi un minimo cambio delle condizioni iniziali porta a evoluzioni completamente diverse. Tuttavia, da un punto di vista classico, nulla ci vieta di avere una precisione infinita sulle condizioni iniziali e di poter, dunque, predire con precisione assoluta l’evoluzione del sistema. Se siete interessati a sistemi potenzialmente caotici vi rimando a questo articolo e a questo video. ↩︎


Davide Laudicina

Dopo un dottorato a Milano in Fisica Teorica ho deciso di trasferirmi in Germania perché evidentemente la ricerca non mi aveva fatto abbastanza male. Orgogliosamente Nerd, nel tempo libero ho sviluppato una dipendenza da serie TV, fumetti e libri e una malsana attitudine nel perdermi durante escursioni in montagna e giri in bici.

Fonti e Approfondimenti
  • Gell-Mann, Murray. Il quark e il giaguaro: Avventura nel semplice e nel complesso. Italia, Bollati Boringhieri, 2017.
  • Lederman, Leon M., and Hill, Christopher T.. Fisica quantistica per poeti. Italia, Bollati Boringhieri, 2013.
  • J.J. Thomson, Nobel Lecture: Carriers of Negative Electricity