I materiali ispirati dai mostri: come ingegneri e scienziati si divertono a copiare dalla natura
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Ingegneri e scienziati dei materiali studiano o inventano non solo nuovi materiali, ma anche nuove microstrutture. Con microstruttura, intendiamo il modo in cui è fatto un materiale su una scala piccolissima: per esempio i metalli comuni, a occhio nudo,  sembrano materiali uniformi. Un microscopio rivelerebbe in realtà che essi sono costituiti da piccole pepite dette “grani”: hanno quindi una microstruttura granulare. Creare nuove microstrutture è un compito complesso, che richiede numerose ottimizzazioni geometriche e meccaniche. Da qualche decennio, tuttavia, gli studiosi si sono accorti che possono copiare delle microstrutture già ottimizzate da un’incredibile specialista dei materiali: la natura! 

Noi umani sviluppiamo tecnologie da secoli, in alcuni campi da solo pochi decenni (l’aviazione o l’esplorazione spaziale). La natura invece ha avuto milioni di anni per affinare, tramite l’evoluzione, microstrutture biologiche eccezionali, che permettono la sopravvivenza di piante e animali. E’ su questo principio che gli scienziati hanno iniziato a sviluppare i cosiddetti bio-inspired materials.

Gli scienziati hanno osservato numerosi esempi, dalle ossa al bamboo o alla madreperla, e hanno tentato di ricostruire metalli o materiali compositi ispirati ad essi. In questo articolo vedremo due esempi estremi, da due animali che hanno speso in maniera eccellente i loro “gettoni evoluzione” (cit. BarbascuraX). 

[Mantis Shrimp da Flickr]

Il primo animale è un crostaceo molto particolare: il Mantis Shrimp (mostrato in alto), che si traduce alla lettera come Gambero Mantide. Questo piccolo coloratissimo animaletto ha un’arma devastante nel suo arsenale di caccia: la sua chela, in grado di scagliare il pugno più veloce in natura. La chela del mantis shrimp è praticamente un martello da guerra, in grado di assestare una forza di 150 kg, davvero impressionante per un gambero! Al di là del colpo in sé, la potenza del pugno è accentuata da un effetto devastante: la cavitazione. La chela produce vortici di acqua in rapido movimento e, ricordando Bernoulli, se la velocità di un fluido aumenta, la sua pressione cala. Inoltre il colpo rilascia una quantità di energia talmente elevata da riscaldare l’acqua più vicina al punto dell’impatto di parecchie centinaia di gradi! Il risultato dell’alta temperatura e della bassa pressione è la trasformazione locale dell’acqua in vapore. Le bolle così create sono però instabili, e implodono immediatamente nel punto di impatto del colpo, causando ancora più danni. Il crostaceo usa quest’arma per rompere i gusci di lumache di mare e granchi, di cui si nutre. Ovviamente l’evoluzione aveva un compito molto importante per questo gambero: far sì che la sua chela rimanesse intatta dopo i colpi devastanti inflitti alle prede. Le osservazioni al microscopio hanno mostrato come la chela sia composta di lamine di fibre di chitina (la molecola che forma l’esoscheletro di insetti e molluschi) ruotate elicoidalmente. La figura in basso mostra sia un’osservazione al microscopio elettronico a scansione (dall’inglese SEM) della chela, che una rappresentazione grafica di questa microstruttura. 

[da YIN, Sha, et al. Tough Nature-Inspired Helicoidal Composites with Printing-Induced Voids. Cell Reports Physical Science, 2020, 1.7: 100109.]

Fibre…lamine…vi ricordano qualcosa? Tempo fa vi abbiamo parlato dei materiali compositi. Ebbene, questa microstruttura si presta molto bene ad essere utilizzata con i compositi: sostituite le fibre di chitina con fibre di carbonio o di vetro ed il gioco è fatto! Solitamente nei compositi “umani” le lamine sono ruotate di angoli molto grandi, che vanno spesso da 15⁰ a 45⁰ o addirittura 90⁰. Riducendo questi angoli fino a 2.5⁰, si ottiene una struttura elicoidale molto più simile a quella della chela del mantis shrimp. Scienziati e ingegneri hanno riprodotto queste strutture, evidenziando un’eccezionale resistenza agli urti e alla propagazione di fratture (tecnicamente: tenacità alla frattura) e impatti e capacità di assorbire energia. Attualmente ci sono numerosi tentativi da aziende e start-up di utilizzare questi compositi per prodotti come pale eoliche, attrezzature sportive, componenti aeronautici e molto altro.

Se il mantis shrimp vi ha stupito, al prossimo piccolo esserino basterà il nome per spaventarvi: parliamo del diabolical ironclad beetle, che si traduce in “scarafaggio corazzato diabolico”. In questo piccolo ma impressionante scarafaggio, la selezione naturale ha dato il meglio di sé. Il suo esoscheletro è un capolavoro di ingegneria meccanica: è così resistente che se prendeste uno scarafaggio fra pollice e indice, non sareste fisicamente forti abbastanza da schiacciarlo! L’insetto può essere investito anche dal pneumatico di un’auto e continuare a sopravvivere. Il segreto del suo esoscheletro è intuibile nella figura seguente:

L’esoscheletro dello scarafaggio diabolico è formato da diverse sezioni. Quella inferiore è elastica, ed è in grado di contrarsi per attutire gli urti, un po’ come fareste voi contraendo gli addominali per assorbire un colpo. Le sezioni superiori e laterali, invece, hanno di nuovo una struttura laminata elicoidale come quella del mantis shrimp. Queste sezioni sono poi collegate tra loro da un meccanismo ad incastro, come quello dei puzzle. Più l’esoscheletro è vicino ad organi vitali, più incastri ci sono. La combinazione di collegamento a incastro e struttura laminata è efficacissima: quando una grossa forza esterna tenderebbe a strappare gli incastri nella parte più sottile, le lamine scorrono, rilassando lo sforzo nel punto dell’incastro, e evitando lo schiacciamento dell’insetto. Certo, lo scorrimento provoca delle microfratture: ma le ferite si rimarginano col tempo, e l’insetto sopravvive! Mentre gli incastri a puzzle sono troppo complessi da creare con dei compositi laminati, scienziati e ingegneri si sono rivolti ad una tecnologia di recente successo: la stampa 3D. Tramite stampa 3D è possibile non solo creare strutture stratificate, ma anche geometrie molto complesse. Sarebbe così possibile sfruttare la microstruttura dello scarafaggio diabolico per un problema cruciale di numerose applicazioni: il collegamento fra diversi componenti, magari anche di materiale diverso. In generale, incollaggi, bullonature o rivettature rappresentano il punto più debole di una struttura assemblata. Aumentare la resistenza di un collegamento significherebbe quindi aumentare la resistenza dell’anello più debole di tutta la catena, e quindi, dell’intera catena stessa! Per questo alcuni ricercatori stanno studiando dei modi di integrare questa strategia di collegamento fra componenti aeronautici in composito. In questo caso, la ricerca è ancora agli inizi, ma i risultati preliminari fanno ben sperare!

Il gambero e lo scarafaggio di cui vi abbiamo parlato sono solo alcuni degli esempi biologici da cui ingegneri e scienziati stanno prendendo spunto. E non è una strategia applicata solo alla scienza dei materiali: alcuni ingegneri aeronautici studiano il volo degli uccelli per aumentare l’efficienza del volo; la robotica guarda con grande interesse a quadrupedi, insetti o persino ad animali marini come i polpi, per ottimizzare i movimenti dei robot! Come spesso accade, nella scienza.. il limite è la fantasia!


Luca Martulli

Fonti

Video su YouTube sul Mantis Shrimp:

Video su YouTube sul Diabolical Ironclad Beetle:

  • https://www.wired.com/story/how-the-diabolical-beetle-survives-being-run-over-by-a-car/
  • Rivera, J., Hosseini, M.S., Restrepo, D. et al. Toughening mechanisms of the elytra of the diabolical ironclad beetle. Nature 586, 543–548 (2020).
  • Plocher J., Mencattelli L., Narducci F., Pinho S., Learning from nature: Bio-inspiration for damage-tolerant high-performance fibre-reinforced composites. Composites Science and Technology 208, 108669 (2021). 
  • Immagine del Diabolical Ironclad Beetle da Flickr