Nelle Langhe con Dori – tra natura, tradizioni e un po’ di chimica
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Ben ritrovati amici lettori!

Oggi voglio parlarvi di qualcosa che esula un po’ dai classici argomenti trattati nei nostri articoli.

Voglio raccontarvi una storia.

É una storia che affonda le radici nel passato e lo riconduce ai nostri giorni in chiave rinnovata e consapevole.

É la storia di un sogno, dell’amore per la natura e il territorio, e di un progetto: La Luna di Dori.

A guidarci in questo viaggio virtuale, Filippo Rigo, ricercatore di tartufi, enotecnico, produttore titolare di Cascina Rabaglio a Barbaresco. Rispolveriamo i fondamentali per i “geograficamente arrugginiti”: le Langhe sono un territorio del Piemonte, riconosciuto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Si estendono su un’area di 1300 m2, che va da Cuneo ad Asti. Si suddividono in Bassa Langa, delimitata dal fiume Tanaro a ponente, Alta Langa, con colline che sfiorano gli 850 m di altezza, e Langa astigiana, segnata dal fiume Bormida a levante. 

Le Langhe devono probabilmente il loro nome al termine piemontese “langa”, che significa collina.

Nel corso della storia, questa terra è stata attraversata da numerosi popoli: l’età del ferro l’ha vista abitata dai Liguri; sono poi seguiti in ordine cronologico i celto-liguri, i romani, i carolingi, fino a diventare, nel 1700, parte del Ducato di Savoia.

È un territorio che gode di straordinarie inversioni termiche e regimi pluviometrici sub-litoranei, culla di prodotti di pregio eccezionale, come vino, tartufi e nocciole. Le varietà vitivinicole che hanno conosciuto e continuano ad ottenere la migliore espressione nelle Langhe, sono Nebbiolo e Barbera. Le nocciole delle Langhe costituiscono una materia prima tra le più ambite dal mondo dolciario: non a caso, è qui, ad Alba, che è nata una delle industrie più conosciute al mondo, la Ferrero. 

[Di WikiImages da Pixabay]

Per quanto riguarda i tartufi, il più rappresentativo della zona è sicuramente il tartufo bianco d’Alba.

Ed è proprio coi tartufi che ci ricongiungiamo a Filippo Rigo e al suo progetto di vita e di amore per il territorio.

Ciao Filippo, benvenuto su Bar Scienza. Innanzitutto, cos’è La Luna di Dori? E come nasce?

E’ un progetto nato nel 2019 con la mia compagna, volto alla salvaguardia e alla promozione del tartufo e dei boschi di Langa. E’ un insieme di eventi e attività didattiche rivolte a tutti coloro che abbiano voglia di scoprire il favoloso mondo dei tartufi.

Cosa sono i tartufi? Quante sono le diverse tipologie e cosa li caratterizza?

I tartufi sono dei funghi ipogei, che si sviluppano cioè sotto terra in simbiosi a particolari piante, e in base alla giacitura e al pH  del terreno. 

Appartengono al genere Tuber e alla famiglia degli Ascomiceti.

Esistono diverse tipologie di tartufi, macro-suddivisi in tartufi bianchi e neri.

Tra i tartufi bianchi troviamo il celebre Tuber magnatum  (ovvero il bianco pregiato o d’Alba) e il bianchetto (o Marzuolo); tra i tartufi neri, troviamo il tartufo estivo (scorzone, Tuber aestivum), Tuber macrosporum, Tuber mesentericum , Tuber brumale e uncinato (Tuber uncintatum).

Ognuno si differenzia per la stagione di raccolta, la forma, le proprietà olfattive e gustative.

Cosa determina il valore economico dei tartufi?

Il valore economico dei tartufi è determinato in base alla qualità, alla quantità e il periodo di sviluppo. Anche la forma, la grandezza, la pezzatura e l’estetica possono influenzare il prezzo finale del prodotto.

Da cos’è composta la tipica flora boschiva delle Langhe? Esistono tipologie vegetali che indicano e favoriscono la formazione dei tartufi?

La flora varia in base al tipo di terreno, alla giacitura, all’esposizione e all’altitudine. Tutti questi fattori influenzano lo sviluppo di diverse piante. In base alla conformazione del terreno e quindi alla presenza di più o meno acqua si sviluppano piante diverse: in zone più umide quindi nei fondovalle e nei canali, dove prevalgono substrati più sabbiosi, troveremo piante più affini all’acqua come salici, pioppi e carpini, invece sui crinali, sulle rocche e nei luoghi esposti a sud e terreni più marnosi troveremo piante del genere quercus (quercia, roverella, rovere, farnia e cerro…).

Sappiamo che Dorina, Dori per gli amici, è la vostra taboj (si pronuncia tabui), la fedele collaboratrice del trifulao. Ma come fa un cane a diventare taboj? Capita mai che il taboj mangi il tartufo scovato sottoterra?

Tutti i cani possono diventare dei taboj; ci sono ovviamente razze più portate e più predisposte di altre, magari perché più resistenti alla fatica e alle avversità climatiche. Con un buon addestramento ogni cane può diventare un cane da tartufo; oltre a ciò bisogna aggiungere tanta passione, tempo e dedizione del trifulao per far diventare questo passatempo un gran bel gioco per il cane.

Ogni volta che un tartufo viene scovato nel terreno, il cane deve essere premiato con bocconcini gustosi e viene così incentivato alla ricerca di altri tartufi.

Una variante fondamentale è il tempo, quindi col passare degli anni, il cane diventa più smaliziato e affina il fiuto, riuscendo a scovare anche i tartufi più difficili.

Non bisogna mai perdersi d’animo, in quanto la ricerca è un’attività difficile e tante volte dietro lo sbaglio del cane c’è lo sbaglio del padrone.

Dori è ghiotta di tartufi, quindi quando ne trova uno, bisogna essere molto veloci e premiarla prima che sia troppo tardi. 

Tornando dunque al vostro progetto, La Luna di Dori, quali attività offrite? E cosa vi spinge a farlo?

Le attività che proponiamo sono tutte volte alla promozione e alla riscoperta di quella che è una tradizione secolare.

Dalla ricerca del tartufo, una vera e propria lezione sulle piante, sul tubero e sui boschi, alla ricerca del tartufo con merenda nel bosco, che incanta sempre i partecipanti, fino al pranzo alla piemontese, per vivere in pieno una giornata DOCG .

La domanda ti sembrerà un po’ sciocca, ma è bene ribadirlo: quanto conta per voi prendersi cura della natura e preservarla?

Il nostro progetto è proprio nato con l’intento di preservare la natura dei boschi e salvare quei piccoli angoli dove il tartufo nasce in modo naturale; angoli rari e troppo spesso estirpati per la coltivazione intensiva. Anche per questo motivo abbiamo iniziato la sperimentazione di tartuficoltura, coltivando piccole piantine micorizzate di diverse specie.

Esistono attualmente dei rischi per la preservazione del mondo dei tartufi? Cosa bisogna fare per evitarli?

Bisognerebbe bloccare la deforestazione, e incentivare il rimboschimento con specie tartufigene. E soprattutto informare i cittadini dell’importanza dei boschi!

A livello territoriale, quanti consensi ottengono iniziative come la vostra? E quanti incentivi concreti?

Abbiamo avuto da subito un buon riscontro, anche dall’estero, in quanto le persone si sono rivelate curiose di scoprire il mondo del tartufo, non solo come cibo ma anche come tradizione e cultura.

Per ora gli incentivi sono limitati e difficili da ottenere.

Siamo davvero felici di aver messo in luce una realtà piemontese così significativa, spesso relegata a stereotipi sul lusso e il superfluo.


In effetti, riflettendoci su, non trovate anche voi estremamente fastidioso quando gli aspetti della vita legati strettamente all’economia e ai mercati, finiscono per offuscare o storpiare realtà naturali che sono patrimonio da difendere nei loro tratti eco-esistenziali e valorizzare al meglio?

Ognuno di noi, nel proprio piccolo, può fare la cosa giusta e magari contribuire a migliorare la situazione, sostenendo realtà come La Luna di Dori, e tutte quelle (e sono tante!) di cui si fa esempio e portavoce. Andiamoli a trovare, nelle Langhe come sulla Sila, immergiamoci nelle nostre radici, nella nostra natura. E parliamone con amici e conoscenti, diamo l’opportuno risalto a qualcosa che rischia troppo spesso di essere dimenticato.


Doriana Donno