Vitamine: i Power Rangers della biochimica

C’è chi narra (cantando) “d’amore di morte e di altre sciocchezze” offrendo tributi “non al denaro non all’amore né al cielo” ma all’arte stessa. Io, quasi allo stesso modo, blatero di ammassi atomici non pensanti (come fossero le entità più stupefacenti ed affascinanti dell’universo) per gloria, fama e (speranza di) sopravvivenza… Nun mollà Gioè, daje così, nun mollà. In realtà non lo faccio per i motivi precedentemente enunciati ma per un sano e genuino spirito di divulgazione. Anzi, se lo faccio è proprio grazie alle molecole di cui vado cianciando (ed a breve scoprirete cosa intendo: se ci reggiamo in piedi e riusciamo a combinare qualcosa è, anche, grazie alle vitamine). Inoltre, lungi da me paragonarmi ai Vati menzionati nella prima riga … diciamo che mi piace pensare di aver avuto degli ottimi maestri. Seguendo quindi le orme di chi ha sapientemente e pregevolmente intessuto la musica con la poesia e la chimica, lasciatemi la licenza di fare lo stesso miscelando goffamente la scienza con la mia folle mente nerd: che l’affascinante e strabiliante spettacolo del vitale invisibile abbia inizio !

[Se ti piace “un chimico” di Fabrizio De Andrè, adorerai “vitamine, i power ranger della biochimica” di Gioele : quando la scienza invece che la musica incontra la mente di un nerd folle. Fonte immagine : copertina video “Un chimico (con testo) | Fabrizio de Andrè | Non al denaro non all’amore né al cielo (1971)” del canale YouTube Faber in Frame. Modifiche effettuate dall’autore dell’articolo.]

Ricordate quando i vostri amorevoli consanguinei vi consigliavano ansimando d’amore: “Mangia le carote, ammamma/appapà/annonna/azzia, che così poi ci vedi meglio!”. Oppure, in procinto di sostenere l’ennesima snervante sessione d’esami: “Ti vedo sciupato… drogati! Fatti una bella dose di multivitaminico endovena”. Non avevano tutti i torti, un fondo di verità c’è. La vitamina A è infatti fondamentale per il funzionamento dei fotorecettori, neuroni specializzati che si trovano nella retina deputati alla ricezione ed alla trasmissione del segnale ottico… si, se state leggendo queste righe è grazie a loro! (Questo non vuol dire che mangiando 20 carote al giorno otteniamo la super-vista… la situazione è un po’ più complessa. Ma nel dubbio le carote mangiatele, male non fanno). Anche le altre vitamine servono a questo? No, anche perché in caso contrario probabilmente gli occhiali non esisterebbero ed il mestiere di ottico non sarebbe neanche nato (a pensarci bene, da portatore di occhiali nonostante le svariate carote mangiate… ci saremmo risparmiati le ore per scegliere la montatura che valorizza di più il nostro viso occhialuto). La figata è propria questa: esistono 13 vitamine ed ognuna ha uno specifico ruolo, come 13 pokémon ognuno con il suo specifico set di mosse. 

[Un classico scambio di sostanze “rinforzanti” tra membri di un’allegra famigliola. Immagine di archivio modificata dall’autore dell’articolo con Canva.] 

Ma che cosa sono queste bombe della vita? Sono fisicamente delle mine? “Well Yes, But Actually No“.  Condividono con l’ordigno esplosivo non comandato la capacità di attivarsi ed esplicare la loro funzione solo in determinate situazioni così come la potenza, da un punto di vista chimico si intende (molte catalizzano le svariate reazioni chimiche che avvengono nel nostro corpo in ogni istante). Ma per fortuna, a differenza delle mine, queste piccole prodezze dell’ingegneria molecolare evoluzionistica non fanno saltare in aria vite ma le salvano, anzi, ad essere puntigliosi le rendono proprio possibili. Fra l’altro, mi dispiace deludere i chimici in sala ma non sono tutte ammine. La lista delle molecole appartenenti a questa classe è stata rivista e messa in discussione più di quanto lo siano state le svariate opere dell’universo espanso di Star Wars. Ma si sa: agli scienziati piace enumerare, catalogare, descrivere e definire cose. Quindi con non poche difficoltà (e duelli sanguinari a colpi di dissing su riviste scientifiche così come esperimenti di dubbio gusto) si è giunti ad una definizione: “composto organico (che cosa sia è discusso in dottrina e non mette ancora d’accordo quasi nessuno, ma pe’ capisse sono molecole che contengono carbonio ed hanno a che fare con i processi vitali) con caratteristiche di nutriente essenziale che l’organismo deve assumere, in quantità limitate (discusse in dottrina, aule, tribunali, organizzazioni internazionali ed enti statali)”. L’organismo le deve introdurre con la dieta perché, come gli amminoacidi chiamati “essenziali”,  non è in grado di sintetizzarle (questo varia da specie a specie ed una vitamina che è tale per una specie può non esserlo per un’altra!). Insomma: come al solito quasi non ci si capisce una mazza e sono più le cose che non sappiamo di quelle che sappiamo. Nun mollà Scienza, nun mollà. Per farla breve, sono sostanze da studente di chimica che ci servono per vivere ma senza abbuffate alla “all you can eat”. 

[Reazione media degli studenti di biochimica quando si cimentano nello studio delle vitamine. Immagine di archivio modificata dall’autore dell’articolo con Canva.]

Ora, famo a capisse, non sono mai stato un grande fan degli spiegoni storici pregni di date e concetti nozionistici ma sovente la storia della scienza mi fa ricredere. Quella divertente, beautifuliana, colma di esperimenti strani e colpi di scena delle proteine lo conferma. Inoltre credo che vedere quanti anni di ricerca e follia ci sono dietro a cose che oggi diamo per scontate sia sempre illuminante.
Sei un marinaio del 1700 (così, de botto, senza senso). In un momento imprecisato della giornata, dopo le tue preziosissime tre ore di sonno ed una doccia gentilmente offerta dall’umidità marittima, sei prontissimo ad affrontare la stimolante giornata lavorativa. Ti avvicini allo specchio incrostato dalla salsedine e… ti vedi pieno di macchie rosse con i denti che cadono. Sei scorbutico, è tutto normale, vai ad issare le vele nella speranza di avvistare presto terra. In realtà lo scorbuto era una piaga che martoriava i marinai dell’epoca. Come si tentò di arginarla? Ma con birra ed uva, ovvio! Il medico scozzese James Lind arrivò e disse in perfetto accento gaelico “No raga, je state a volà, la birra e l’uva al massimo disinfettano ma allo scorbuto je fanno er solletico. Ce l’ho io la soluzione: succhettino de agrumi, se volete er parere mio arancia e limone so topperoni.” Aveva ragione. Drop mic. Quando una limonata ti salva la vita: leggenda narra che la mitica Cedrata Tassoni, l’elisir di Odino, sia stata ispirata proprio da questa storia!

[Raffigurazione rievocativa di un momento storico : il medico scozzese James Lind consegna alla Royal Navy la cura per lo scorbuto: secondo alcuni si tratta del precursore della mitica cedrata Tassoni. Immagine tratta dal videoclip del brano “La Polenta Taragnarock” degli insuperabili “Nanowar Of Steel”, modificata dall’autore dell’articolo con Canva.]

La comunità scientifica si inizia quindi a chiedere: ma nun bastava magnà bene pe’ sta bene? La dieta equilibrata, gli zuccheri a pranzo e le proteine a cena, quelle robe lì. Tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, due scienziati provarono a rispondere a questa domanda, ottennero una risposta, ma vennero ignorati. Gli scienziati so’ fatti così raga, dolcemente complicati, non sempre si va d’amore e d’accordo… ma del resto ditemi: chi è che lo fa su questa roccia spaziale?  Ma comunque ne stiamo parlando… quindi alla fine giustizia è stata fatta no? ;-). Il primo “Fratm ingiustamente ignorato” è il medico russo Nikolai Lunin. Il nostro Nicola portò i distici pranzo-zucchero e cena-proteina alle estreme conseguenze: formò 4 gruppi di topi e nutrì ciascuno unicamente con uno dei 4 componenti del latte allora conosciuti (proteine, grassi, zuccheri e sali). Un quinto gruppo venne nutrito con del latte intero. Solo quest’ultimo sopravvisse mentre gli altri quattro perirono. Nikolai giustamente pensò: “Guajò, ajj trovato l’inghippo: u latt tena nu guaglione mpurtante pa campà ca nun è ninguno dei quattru ca conoscimu“, in perfetto accento russo ovviamente. Il secondo Fratm, nonché fisiologo tedesco, Cornelis Adrianus Pekelharing ottenne risultati simili, pubblicò i dati su una rivista ma venne ignorato, malelingue dicono perché il cognome fosse difficile da citare…

[Lo stretto e confidenziale rapporto topo–scienziato che caratterizzava gli esperimenti di Nikolai Lunin Immagine di Nikolai da Wikimedia Commons, topo da Deviant Art (autore Child-of-God) e fumetto aggiunto dall’autore dell’articolo.]

Ora entra in scena un paese che chi mi conosce un minimo sa quanto riesca ad ammaliare la mia mente contorta ed alla costante ricerca di stranezze: il Giappone, paese del sol levante, patria della versione di “esplorando il corpo umano” con smembramenti, sangue a fiotti ed infermiere prosperose (ma questo è un altro, futuro, articolo). Il nostro vecchio marpione si chiama Takaki Kanehiro, medico della Marina Imperiale Giapponese. Il buontempone ebbe la brillante idea di ripetere l’esperimento di Nicola ma in scala leggermente più grande: usare due intere navi da battaglia come gruppi sperimentali (diciamo che all’epoca, il 1884,  l’attitudine giapponese del fare le cose in grande pazze sgravate era coadiuvata da una legislazione in materia di sperimentazione scientifica definibile “permissiva”… perché dire “completamente-assente-in-modo-da-permettere-a-degli-isolati-pazzi-scriteriati-di-rendere-delle-persone-inconsapevolmente-parte-di-un-esperimento-scientifico-perché-eddai-il-progresso-ci-salverà-tutti” suona male). 

[Quel buontempone di Takaki Kanehiro. Immagine (ritagliata) di Takaki Kanehiro da Wikipedia Commons e base meme da archivio. Creazione dell’autore dell’articolo con Canva.]

Ai tempi una particolare piaga affliggeva l’Asia dell’Est: il beriberi, dal Singalese බැරි බැරි (bæri bæri, “non posso, non posso”), il cui principale sintomo era appunto una spiccata e patologica mancanza di energia (intesa come tono muscolare e/o attività nervosa). Il sagace Takaki aveva notato che la patologia era molto più frequente tra i poracci (termine tecnico: soldati di basso rango), i quali mangiavano praticamente solo riso. La mente illuminata del medico militare mise quindi a punto una sorta di Takeshi’s Castle tendente allo Squid Game: su una nave fece cibare l’intero equipaggio solo con riso mentre su un’altra con una completa dieta europea (carne, pesce, orzo, riso e fagioli). La prima ebbe 161 casi di Beriberi (con 25 decessi) mentre la seconda 14 (con nessun decesso). Takaki e la marina giunsero quindi alla conclusione che un determinato tipo di dieta fosse la causa della sindrome (anche se pensarono erroneamente fossero le proteine, più presenti nella dieta europea, a salvare dal beriberi). Nel 1897 il medico olandese Christiaan Eijkman (che ricevette il Nobel nel 1929 proprio per i suoi studi sulle vitamine) ripeté l’esperimento con dei polli usando riso integrale (ricco di vitamina B1) e bianco (povero), cosa che gli permise di attribuire l’effetto anti-malattia non alle proteine ma ad un altro composto non ancora identificato. Ricca di tutte le esperienze descritte, la comunità scientifica iniziò quindi a parlare di “fattori accessori” perché dire “stiamo brancolando nel buio e non sappiamo una ciola, l’importante è magnà bene, un po’ de tutto” pareva brutto!

[Alcuni studi recenti (ovvero la folle mente di chi sta scrivendo) sembrano individuare nell’esperimento di Takaki l’ispirazione di programmi come Takeshi’s Castle e Squid Game. Meme generato con Canva dall’autore dell’articolo che ha preso l’immagine di sinistra da Tech Game World e quella di destra da Wallpapersden.]

Stay tuned per scoprire il perché queste molecole “salvano dalle malattie”, quanto tocca magnanne e varie curiosità con cui rimorchiare alle feste (universitarie, ci sentiamo di consigliare, per massimizzare la probabilità di successo)… la seconda parte dell’articolo uscirà presto!


Gioele Gaboardi

Fonti: