Un curioso antenato del vaccino: la variolizzazione
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Pianeta Terra, 2019: è sufficiente pronunciare la parola “vaccino” per innescare lunghi dibattiti in ogni angolo del globo, fra persone provenienti da estrazioni sociali e culturali diverse.

Aprire un motore di ricerca, digitare quelle sette fatidiche lettere e premere il tasto “cerca” equivale ad una dichiarazione volontaria di auto-implosione della materia grigia.

Le dichiarazioni degli enti ufficiali o degli esperti in materia hanno l’arduo compito di spiegare al mondo intero che i vaccini sono sicuri, funzionano ma, soprattutto, servono.

Eh già, perché per difenderci e proteggere chi amiamo di più da malattie come morbillo, influenza o meningite, quello che possiamo fare concretamente è vaccinarci.

[di qimono, Pixabay]

Quello che, invece, voglio fare io oggi, è raccontarvi molto brevemente delle tecniche che si mettevano in atto prima che Edward Jenner diventasse de facto il padre dell’immunizzazione, introducendo il concetto di “vaccino”.


Prendendo ad esempio il Vaiolo, arrivato in Europa attorno al 900 d.C. e in grado di sterminare fra il 20% ed il 60% delle persone colpite, lascia senza fiato l’idea che questa malattia abbia flagellato il mondo intero per più di mille anni, venendo dichiarata “estinta” dall’OMS solo nel 1980.

Chi si salvava rischiava molto spesso di rimanere gravemente sfigurato o cieco e piangeva la morte dei propri cari che non ce l’avevano fatta.

Davanti a questi scenari, i primi a cercare una soluzione furono i cinesi: probabilmente fra il decimo e l’undicesimo secolo, senza nessuna nozione di immunologia, tentarono con tecniche diverse quali l’insufflazione nelle narici di croste vaiolose polverizzate (nella fase terminale della malattia) oppure il provocare il contatto forzato con vestiti di malati in fase acuta.

Le persone, in questo modo, si ammalavano e sviluppavano una risposta immunitaria: era nata quella che diventerà nota come la “variolizzazione”. Questa tecnica si sviluppò e diffuse in Asia ed in Europa nel corso dei secoli, passando dalla Turchia e arrivando fino in Inghilterra, grazie all’aiuto di medici e donne come Lady Mary Wortley Montagu, moglie dell’ambasciatore anglosassone a Costantinopoli.

La “variolizzazione”, sebbene fosse una tecnica ingegnosa, soprattutto per l’epoca, non fu mai sicura ed efficiente come sono oggi i vaccini, ma è la prova che gli esseri umani hanno sempre cercato un “rimedio preventivo” alle malattie infettive, perché non è vero che la miglior cura è sviluppare gli anticorpi dopo essersi ammalati.

Questa pratica portò diversi personaggi, considerati oggi i precursori di Jenner, a formulare teorie sulla possibilità di utilizzare materiale derivante anche dal vaiolo vaccino (malattia che interessava le mucche) e svilupparne un metodo di prevenzione efficace. Fra di loro, vale la pena ricordare i nomi di John Fewster, Peter Plett e Benjamin Jesty.


Tilde
Laureata in Biologia della Salute all’Alma Mater Studiorum di Bologna, è una grande appassionata di viaggi, cinema, in particolare di thriller e horror, e fumetti. Ama molto il suo gatto e “schiacciare un pisolino” insieme a lui.

Fonti:

  • per un maggior approfondimento consigliamo questo articolo della SICuPP sulla storia della vaccinazione e della variolizzazione