Catturare l’informatore – Parte 1

Siamo nel bel mezzo di una battaglia. 

Un esercito, formato da violenti guerrieri, assetati di sangue, è schierato all’attacco. 

Dall’altra parte, l’esercito avversario, sorpreso dall’attacco, si chiude in difesa del proprio territorio, con alte mura di recinzione e soldati che respingono l’assedio. Entrambe le parti combattono valorosamente, ma gli assalitori vengono respinti. Chi riesce a penetrare viene individuato, prontamente catturato e incarcerato.

Tuttavia, tra gli assalitori c’è qualcuno di molto più discreto, che cerca di non farsi notare, per aprirsi silenziosamente una breccia nella parte di territorio più indifesa. Nessuno lo nota, se ne sta in disparte e penetra di soppiatto all’interno delle mura, eludendo qualsiasi controllo. Una volta superato il muro difensivo, si aggira come una persona qualunque nel territorio, interagisce poco con gli abitanti per non farsi scoprire. 

Fino a che qualcuno non lo nota, lo cattura e inizia a interrogarlo sulla sua provenienza, sulle abitudini del suo popolo, sulle vicende della sua terra d’origine… 

Figura 1 – Daya Bay neutrino experiment [Credit: Berkeley Lab, Flickr.com]

La Terra è continuamente investita dai raggi cosmici, un insieme di particelle ad alta energia, come protoni, elettroni e nuclei atomici (l’esercito di assalitori). Queste particelle provengono dalle zone più disparate del cosmo (tempeste solari, eventi di supernovae, nuclei di altre galassie, …). 

La Terra, grazie al suo scudo, il campo magnetico, riesce, almeno in parte, a schermarci da tali particelle, bloccandole e intrappolandole nelle linee di campo (ci sono, comunque, raggi cosmici con sufficiente energia che riescono a penetrare).  Ma ecco che qualcuno si infiltra, bucando le difese, non facendosi notare da nessuno. Stiamo parlando dei neutrini. Queste particelle subatomiche sono estremamente discrete, interagendo pochissimo con la materia. Il che, per noi, è un bene. Infatti, ogni secondo veniamo bersagliati da miliardi di neutrini che, non avendo praticamente alcuna interazione con il materiale biologico e con la materia ordinaria di cui siamo costituiti, ci lascia praticamente indifferenti, permettendoci di vivere tranquillamente le nostre vite.

Ma se sono così difficili da osservare, come facciamo a sapere che effettivamente esistono? E perché ci interessa studiarli?

Gli esperimenti che permettono di misurare queste particelle debolmente interagenti sono molto spesso enormi vasche di liquido (acqua, altre sostanze), in cui si vanno a contare le (rare) interazioni dei neutrini con la materia. Essendo i neutrini debolmente interagenti, ci permettono di avere informazioni su zone dell’Universo che difficilmente riusciremmo ad esaminare in altro modo. Per esempio, possiamo avere informazioni sul centro della nostra galassia o di altre galassie.

Oppure, consideriamo qualcosa di molto più vicino a noi, come il Sole.

All’interno del Sole la materia è molto concentrata (circa 150 g/cm3) e i fotoni prodotti nelle reazioni nucleari vengono assorbiti e riemessi moltissime volte (in media, per giungere alla superficie del Sole partendo dal nucleo, dove viene prodotto, un fotone impiega decine di migliaia di anni).

Quindi, per spingersi in profondità e capire quali processi avvengono negli strati interni di una stella, è essenziale ricorrere ai neutrini che, non interagendo con la materia o con i campi elettromagnetici, riescono a giungere fino a noi, praticamente indisturbati, con importanti informazioni su ciò che avviene all’interno di una stella. Infatti, uno dei prodotti delle reazioni nucleari che avvengono nelle stelle sono proprio i neutrini.

Le prime ipotesi sull’esistenza del neutrino (anni ’20 – ’30 del Novecento) si devono a Pauli, il quale cercava di risolvere il problema dell’energia variabile degli elettroni prodotti nei decadimenti beta.

Ma cos’è un decadimento beta?

Consideriamo, come esempio, il decadimento β+. In un decadimento β+ un nucleo atomico subisce la conversione di un protone in un neutrone, con emissione di un positrone (analogo dell’elettrone con carica positiva). Ebbene, studiando questi decadimenti, si notò che i positroni assumevano valori di energia all’interno di uno spettro continuo (in pratica, avevano energie diverse). Questo cozzava con il principio di conservazione dell’energia (il sacro Graal della Fisica) in quanto sembrava che parte dell’energia presente prima del decadimento sparisse nel nulla. Questo problema lasciava perplessi i fisici: non dormivano la notte, non mangiavano (altro che pene d’amore… quando non si conserva l’energia sono problemi).

E cosa fa un fisico (teorico) quando è in difficoltà?

Inventa particelle.

E fu così che Pauli ipotizzò mister Neutrino, una particella di massa nulla (oggi sappiamo che non hanno massa nulla), emessa nei decadimenti beta insieme ai positroni (o elettroni, nel caso dei decadimenti β-).

I fisici sperimentali, che si annoiavano, erano tutti contenti, stappavano bottiglie, non stavano nella pelle: “Evvai, dobbiamo trovare un’altra particella!”, esclamavano a gran voce.

Sempre in quegli anni si iniziavano ad ipotizzare le reazioni nucleari che avvengono all’interno del Sole, dove si suppone che, tramite processi di fusione nucleare, nuclei di idrogeno si fondano a formare nuclei di elio con emissione di neutrini ed energia.

Negli anni Sessanta del Novecento, Davis vuole verificare se le ipotesi sui modelli delle reazioni nucleari all’interno del Sole fossero corrette e, per fare questo, iniziò a dare la caccia ai neutrini solari.

Ma come trovare una particella così “invisibile”?

L’idea alla base è abbastanza semplice e, fidatevi, potete replicare l’esperimento anche voi a casa.

Vi basta avere a disposizione una vasca (ma non una vasca qualsiasi… dovete prendere una vasca enorme!) e riempirla con 617 tonnellate di tetracloroetilene… fatto?

A questo punto, sfruttando il decadimento β inverso (e un po’ di cul… ehm, statistica) il neutrino (se si degna di interagire) verrà catturato dal nucleo di cloro, producendo un nucleo di argon e un elettrone.

Beh, direte voi… miliardi di neutrini ci colpiscono ogni secondo, abbiamo un vascone di cloro… chissà quanti nuclei di argon avranno contato! 

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No, non mancano zeri… 1 neutrino in 3 giorni.

Statisticamente, si aspettavano un basso numero di nuclei di argon… ma così era troppo basso.

In particolare, il numero di neutrini misurati risultava essere 1/3 di quelli attesi dal modello solare proposto.

Il modello solare era incompleto? L’esperimento era errato? I neutrini si comportavano in modo anomalo?

A queste (e altre) domande risponderemo nel prossimo capitolo.


Andrea Marangoni

Laurea Magistrale in Fisica con una tesi sui dischi circumstellari presso l’Università degli Studi di Padova.

Appassionato di scienza fin da bambino, tifoso della Juventus, nel tempo libero mi piace dedicarmi all’attività fisica. 

“I’m just a mad man in a box”.

Fonti