Le (vere) cronache del ghiaccio e del fuoco: il viaggio di Ötzi sulle Alpi

[Immagine: Ricostruzione di Ötzi. Fonte: Pixabay]

5000 anni sepolto nel ghiaccio della Val Senales, Alto Adige. Un viaggio sulle vette più alte d’Europa che non venne mai terminato.

Questo il destino di un uomo antico di millenni, ma sempre pronto a stupirci ancora.

Oggi condivideremo gli ultimi passi dell’uomo del Similaun, una delle mummie meglio conservate al mondo e con una storia tutta da raccontare.

Partiamo!

(Spoiler: a fine articolo c’è una curiosità poco scientifica).

Il ritrovamento conteso

Il 1991 è insieme l’anno di una scoperta straordinaria e del più grande ping pong antropologico del secolo.

È il 19 settembre. Una coppia di escursionisti tedeschi trova un corpo mummificato nei pressi del rifugio Similaun, a più di 3000 metri di altitudine. Uno sguardo al suo abbigliamento mette subito in chiaro che non si tratta solo di uno sfortunato alpinista. Le prime ricostruzioni lo datano a circa 5000 anni fa, indietro fino all’Età del Rame.

La ressa mediatica non si fa attendere. Fino ad allora non era mai stato ritrovato un essere umano così antico! La mummia viene affettuosamente rinominata da un giornalista austriaco “Ötzi”, ispirandosi alle Alpi di Ötztal, teatro del ritrovamento.

Una questione assai spinosa attendeva però al varco: a quale paese apparteneva la mummia, Italia o Austria? Solo dopo infinite perizie geografiche l’uomo dei ghiacci ritrovò la pace: per soli 90 metri dal confine la spuntò il Bel Paese. Ötzi compì dunque il suo ultimo viaggio da Innsbruck a Bolzano, nel museo dove riposa tutt’oggi.


[ll luogo del ritrovamento con la piramide commemorativa.
© Museo Archeologico dell’Alto Adige/Dario Frasson]

Una mummia “parlante”

Ötzi deve il suo incredibile stato di conservazione alla lunghissima permanenza a contatto con neve e ghiaccio, che ha innescato una mummificazione naturale. Questo ci permette di osservare e raccogliere informazioni che difficilmente avremmo reperito altrove.

Il suo corpo ci racconta di un uomo sul metro e 60, di circa 50 chili, con una muscolatura massiccia e quasi senza massa grassa. I denti mostrano parecchi segni di usura, probabilmente perché venivano usati nel processo di lavorazione delle pelli (che sì, venivano ammorbidite masticandole).

La sua salute fu tutt’altro che eccellente: sono evidenti i segni dell’arteriosclerosi e dell’osteoartrosi, patologie che dovevano dargli parecchi dolori. I suoi polmoni erano completamente anneriti dalla fuliggine dei focolari. Ötzi si rivela inoltre il primo portatore noto nella storia della malattia di Lyme, trasmessa dalle zecche, e non doveva sentirsi mai solo dato che nel suo intestino sono state ritrovate uova di tricocefalo, parassita piuttosto fastidioso.

La genetica lo aveva privato del dodicesimo paio di costole e dei denti del giudizio, regalandogli invece un’evidente fessura tra gli incisivi superiori (il famoso diastema).

Ma ehi, il nostro uomo del ghiaccio non era tipo da arrendersi senza combattere: aveva con sé del poliporo di betulla, un fungo dalle proprietà antisettiche, e sul suo corpo sono stati trovati ben 61 tatuaggi, creati incidendo la pelle e poi strofinandola con del carbone vegetale.

La posizione di questi segni non è casuale. Sembrano infatti coincidere con le parti del corpo su cui Ötzi potrebbe aver sofferto di più a causa delle sue malattie, come il ginocchio o la zona lombare.

I tatuaggi combaciano inoltre con alcuni dei punti chiave dell’agopuntura. Che ha effettivamente origini antichissime e chissà, forse era già nota nell’Età del Rame.

Equipaggiato a puntino

Dress to impress, direbbero gli inglesi. E figuriamoci se l’uomo del Similaun poteva essere da meno.

Gli abiti di Ötzi sono eccezionali, confezionati a partire da pelli di diversi animali. Le calzature, rivestite di vegetali, risultano impermeabili e isolanti.

L’accessorio più prezioso è sicuramente la sua ascia, il cui rame sembra avere origine nelle miniere toscane. Arco e frecce erano ancora incompleti al momento della morte, mentre il pugnale di pietra, ben protetto da un fodero di fibra vegetale, era sempre pronto all’uso.

Appesi alla cintura, in una sacca, sono stati ritrovati vari utensili per lavorare legno e selce. Non mancava poi tutto l’occorrente per governare il fuoco: dalla miccia a dei recipienti per trasportare le braci. Ben 18 tipi di legni diversi compongono tutto il suo armamentario, a ulteriore dimostrazione che Ötzi doveva sapere il fatto suo.

Corde e reti sono state trovate accanto alla mummia, probabilmente usate per cacciare uccelli e trasportare oggetti.

[L’ascia di Ötzi esposta al Museo dell’Alto Adige.
© Museo Archeologico dell’Alto Adige/foto-dpi.com]

La morte di Ötzi, un mistero irrisolto da millenni

Quello che vi racconterò è un vero cold case. E non per il ghiaccio, sia ben chiaro.

Siamo infatti al cospetto di uno dei primi omicidi irrisolti della storia.

Purtroppo il nostro uomo non visse per sempre felice e contento. C’è un motivo se la sua vita terminò sul ghiacciaio e il suo viaggio non ebbe mai fine.

Siamo alla fine dell’estate, la stagione del farro trovato tra i vestiti del nostro uomo. Ötzi aveva probabilmente appena finito di mangiare il suo pasto di carne e felci e stava riposando. Una freccia lo colpì improvvisamente alle spalle, conficcandoglisi nella carne e recidendo di netto l’arteria succlavia. Probabilmente batté la testa, perse conoscenza e morì dissanguato, accasciandosi su quel monte che avrebbe accolto il suo riposo per quasi 5000 anni.

Ma perché qualcuno volle Ötzi morto?

Impossibile che volessero derubarlo, non avremmo trovato nessuno dei suoi strumenti e figuriamoci le preziosissime armi.

Attualmente le fiches dei ricercatori sono tutte su un conflitto personale. Prima di intraprendere il suo viaggio, l’uomo del Similaun si era procurato una brutta ferita a una mano, che al momento della morte si stava rimarginando. È lecito pensare che avesse già avuto uno scontro, che avesse provato a fuggire rifugiandosi sui monti. E che non bastò.

Ovviamente non sapremo mai la verità, possiamo solo avvicinarci un po’ di più studiando meglio la salma e formulando ipotesi sempre più dettagliate. In ogni caso, oggi Ötzi continua a riposare tranquillo in una cella frigorifera nel Museo Archeologico dell’Alto Adige, accudito dai ricercatori e permettendo a noi tutti di immaginare, con un po’ più di certezza, come fosse la vita dei nostri antichissimi antenati.

[La cella frigorifera del Museo dell’Alto Adige da cui è possibile osservare Ötzi.
© Museo Archeologico dell’Alto Adige/Ochsenreiter]

5000 anni e ancora sorprese!

Secondo voi finisce così?

Illusi.

Il vecchio uomo del ghiaccio non delude mai.

La notizia è di agosto 2023. Praticamente fresca.

Un team di ricercatori dell’Istituto Max Planck per l’antropologia evolutiva di Lipsia e dell’Istituto per lo Studio delle Mummie di Eurac Research di Bolzano ha esaminato nuovamente il DNA di Ötzi, con lo scopo di approfondire le analisi del 2012. I risultati, manco a dirlo, capovolgono completamente l’origine del suo materiale genetico.

Ma facciamo un passetto indietro.

Qualcosa come 8000 anni fa i cacciatori – raccoglitori europei sperimentarono una certa ressa nei loro territori: arrivarono nel continente popolazioni originarie dell’Anatolia (moderna Turchia per capirci) con abitudini prevalentemente contadine. A questo patchwork preistorico si aggiunsero successivamente, circa 5000 anni fa, delle popolazioni provenienti dalle steppe orientali, dedite soprattutto alla pastorizia (parecchio del loro materiale genetico è ancora in giro tra noi europei, tra l’altro).

Quando il DNA di Ötzi venne sequenziato per la prima volta nel 2012, sembrava essere in gran parte derivante dalle popolazioni delle steppe.

E invece, no.

Le nuove analisi, condotte con mezzi tecnologici più avanzati, hanno permesso di confrontare il DNA di Ötzi con quello di più di 10000 altri uomini primitivi. Ciò che ne è uscito è un materiale genetico molto più simile a quello dei contadini anatolici. Non c’è assolutamente traccia del materiale degli uomini delle steppe, che probabilmente si era infilato nell’analisi precedente a causa di una qualche contaminazione con del DNA dei ricercatori stessi

Tanto va il ricercatore al lardo che ci lascia il DNA… ah no, scusate.

Ma come mai questa analisi è così importante?

Al di là dell’ovvio valore intellettuale, non scordiamo che non è così facile avere informazioni su cosa sia successo migliaia di anni fa. Non è come andare dal nonno e chiedergli come fosse vivere negli anni ‘50, insomma. I dati che abbiamo a disposizione sono pochissimi, e spesso nemmeno ben conservati.

Le informazioni che ci fornisce Ötzi sono preziosissime. Adesso sappiamo, per esempio, che le popolazioni dell’Europa alpina erano molto più isolate di quanto si credesse precedentemente, e che ci volle molto più di quanto pensassimo affinché si mescolassero con le popolazioni delle steppe.

E c’è di più.

Le nuove analisi sul DNA non hanno fornito solo informazioni sulle origini genetiche di Ötzi. Ci hanno anche raccontato qualcosina in più su di lui.

Primo: la pelle di Ötzi era molto più scura di quanto si credesse, tendente al mediterraneo.

Secondo: Ötzi era geneticamente predisposto alla calvizie maschile, all’obesità e al diabete.

Non esattamente un uomo che ha vinto la lotteria genetica, ecco.

Probabilmente non soffrì di nessuna di queste malattie in vita, considerato che morì comunque abbastanza giovane e che aveva uno stile di vita decisamente attivo (era pur sempre in giro su una montagna di 3000 metri). Inoltre, sul corpo sono state ritrovate ciocche di capelli scuri lunghe circa 9 cm. Certo, non sappiamo dove arrivasse la sua stempiatura, ma possiamo comunque dire che difendeva bene la sua chioma.

Che dire, io son qua che aspetto.

Cosa?

Che l’uomo del ghiaccio ci regali ancora qualcosa di nuovo.

Se non lo fa lui che ha 5000 anni, del resto, chi potrebbe farlo?

Ah, siete ancora qui per la curiosità poco scientifica?

Pensatemi mentre cerco su Google immagini di Ötzi. Inspiegabilmente continua a spuntare Brad Pitt.

A quanto pare, il super divo si è tatuato i contorni della mummia sul braccio. Una sorta di tributo a uno dei primi uomini tatuati della storia.

Lo dicevo che non si finisce mai di stupirsi, vero?


Aurora Colangelo

Fonti: